LECCHIADE: Le Gesta Di Chupa Chups
17 Marzo 2016
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17 Marzo 2016
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Il Mobbing: Come Difendersi

Di Vittorio Venditti
(Foto), Di Salvatore Di Maria

VEDIAMO CHI HA LA TESTA PIU’ DURA!!!

Chupa Chups Da Par Suo

Premessa: Da poco ho ripresa la battaglia contro chi pensa di poter fare il bello ed il cattivo tempo con la vita e la dignità altrui; già ho ricevuta una serie di messaggi che hanno un comun denominatore: “Ma non hai paura di controdenunce? I tuoi amici, quanto tempo accetteranno di vivere in questa situazione?” ecc. Come detto e ripetuto, io sono a loro disposizione ed al loro fianco finché loro stessi liberamente decideranno in questo senso, fregandomene di minacce o intimidazioni, sbagli commessi da chi si crede onnipotente e conta meno di zero, (vedi l’errore esiziale commesso da Chupa Chups nel tirarmi direttamente in campo. Sì, perché se fino a ieri io ero la tromba dei miei amici, (come consigliato a seguire da chi ne sa più di me), oggi sono parte in causa e finalmente posso reagire, magari a vantaggio proprio di chi è stato fino ad oggi maltrattato.

Chupa Chups Che Ha Già Finito Di Lavorare

Senza risvegliare i morti e parlando quindi solo di ciò che è accaduto dallo scorso giugno, posso finalmente contestare chi dice che Donato e Totore hanno sbagliato nel divulgare ciò di cui sono parte in causa; posso sbugiardare chi, anche dall’amministrazione al governo, cerca d’instillare il dubbio se sia o meno opportuno creare chiacchiere da bar ed offendere la tranquillità e la reputazione di un paese di morti qual è Gambatesa ecc.; insomma: Me ne frego, non so se ben mi spiego, me ne frego, fò quel che piace a me, per riprendere il ritornello di un motivetto del ventennio, tutto ciò a favore di chi mi chiede aiuto o magari di chi non sa come fare per chiederlo. Per questo, mi preme divulgare per esteso una serie di consigli provenienti dalla Rete, modus operandi in buona sostanza già da noi applicato, sistema che prima o poi porterà alla fine drastica di questa storiaccia, una guerra fra poveri che da sola squalifica il nostro borgo, ora più che mai dal punto di vista politico.

Buona lettura.

Mobbing

Riferimenti Normativi:
Codice Civile – Artt. 2043, 2087

Con il termine mobbing si intende il comportamento del datore di lavoro (o dei suoi dipendenti) che consiste in una serie di atti che hanno lo scopo di perseguitare un dipendente per emarginarlo e, attraverso la lesione della sua dignità umana e professionale, spingerlo a presentare le dimissioni. Quando il mobbing è realizzato da un superiore viene anche definito “bossing”. Il lavoratore vittima di questo comportamento nel suo complesso illecito può ottenere il risarcimento dei danni.

>Cos’è
>Il risarcimento dei danni
>Cosa deve dimostrare il lavoratore vittima di mobbing

Cos’è

Si definisce “mobbing” il comportamento consistente in una serie di atti (anche se singolarmente considerati eventualmente leciti) che hanno lo scopo di perseguitare un lavoratore per emarginarlo e spingerlo a presentare le dimissioni. Il mobbing, in altre parole, non è che un processo sistematico e voluto di cancellazione della figura del lavoratore che viene portato avanti attraverso una continua eliminazione dei mezzi e dei rapporti interpersonali che sono necessari al lavoratore per svolgere la sua normale attività lavorativa.
Si deve trattare di una condotta – considerata nel suo complesso – lesiva della dignità professionale e umana del lavoratore, dignità da intendersi sotto l’aspetto morale, psicologico, fisico o sessuale.
Quanto questo comportamento è realizzato dal datore di lavoro (o comunque da un superiore) nei confronti di un dipendente prende anche il nome di “bossing” (o “mobbing verticale”).
Può accadere, invece, che questa pratica illecita venga realizzata da alcuni lavoratori nei confronti di un loro collega ritenuto da emarginare per i più svariati motivi (politici, etnici, razziali, di orientamento sessuale ecc). In questo caso il fenomeno viene anche definito “mobbing orizzontale”.
Perché sussista il mobbing, quindi, non è sufficiente un singolo atto ma è necessaria una pluralità di situazioni.
Questi comportamenti devono essere tutti finalizzati alla persecuzione del lavoratore per ottenerne le dimissioni, a prescindere dal fatto che l’obiettivo venga o meno raggiunto.
Per questo motivo, il mobbing non va confuso con il semplice “demansionamento “ (vedi la scheda sul Lavoro subordinato a tempo indeterminato).
Il demansionamento, infatti, consiste nell’assegnazione del lavoratore a compiti e mansioni inferiori a quelli che gli spetterebbero in base al suo inquadramento.
Certamente il demansionamento è un atto che normalmente viene utilizzato all’interno delle pratiche di mobbing dal momento che il lavoratore viene ad essere deprezzato professionalmente. Tuttavia la semplice assegnazione a mansioni inferiori non è di per se sufficiente a consentire di ritenere sussistente una ipotesi di mobbing che – per definizione – prevede una pluralità di atti che – intesi nel loro complesso – diventano lesivi della dignità umana e professionale del lavoratore.

Il risarcimento dei danni

Il lavoratore vittima di mobbing può maturare delle vere e proprie patologie, fisiche o psichiche, che possono essere indennizzate attraverso una richiesta di risarcimento dei danni.
Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un lavoratore vessato e umiliato quotidianamente dai propri superiori che contragga una forma di depressione.
I danni di cui si può domandare il risarcimento sono di natura:
• patrimoniale: ovverosia tutti i danni quantificabili direttamente in una somma di denaro come le spese sostenute per le cure piuttosto che per una perizia medico-legale per l’accertamento della presenza di una patologia
• non patrimoniale: in generale i danni consistenti nella lesione della salute (fisica o psichica) o di altri interessi considerati dalla Costituzione (es.: il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa ecc.).
Se la quantificazione del danno patrimoniale è semplice (il lavoratore che ha effettuato delle spese per cure mediche è sempre in grado di dimostrare la somma che ha anticipato) quella del danno non patrimoniale viene invece effettuata utilizzando delle tabelle, predisposte dal Tribunale di Milano, che sono considerate utilizzabili tendenzialmente su tutto il territorio nazionale.
Queste tabelle quantificano il danno non patrimoniale a partire da un accertamento (che deve essere realizzato da un medico legale) delle conseguenze del mobbing sulla salute del lavoratore (che si definiscono con l’espressione “invalidità”, permanente e temporanea) e il risarcimento sarà tanto più elevato quanto più elevata sarà l’invalidità accertata dal medico legale.

Cosa deve dimostrare il lavoratore vittima di mobbing

Se dal punto di vista teorico definire il mobbing non è particolarmente complesso, dal punto di vista pratico è sempre molto complesso fornire al giudice la prova dei fatti.
Questo perché il lavoratore è tenuto a dimostrare i fatti storici consistenti negli atti vessatori e ciò è tendenzialmente molto difficile se si considera che questa prova può essere fornita quasi esclusivamente tramite dei testimoni che normalmente sono anche i colleghi del lavoratore vessato e che molto spesso continuano a lavorare proprio alle dipendenze di quel datore di lavoro che può essere accusato dei comportamenti illeciti.
Il lavoratore, ad ogni buon conto, deve fornire la prova dei singoli atti vessatori mentre per quanto riguarda la prova delle finalità di questi atti (l’ottenimento delle dimissioni) si potrà avvalere anche di semplici presunzioni.
Le presunzioni, in particolare, vengono definite come le conseguenze che il giudice (o la legge) trae da delle circostanze che – di per se sole – non sarebbero in grado di dimostrare un fatto, in questo caso la volontà di ottenere le dimissioni del lavoratore, ma che – per la loro serietà – lasciano appunto presumere la finalità vessatoria del comportamento nel suo complesso. Questa operazione è possibile a patto che le circostanze siano gravi, precise e concordanti.
Il lavoratore dovrà poi dimostrare l’esistenza dei danni di cui richiede il risarcimento e soprattutto che questi danni sono dovuti agli atti vessatori subiti. Si tratta della prova del c.d. nesso causale tra condotta e danno.
In questa ultima fase è essenziale il contributo del medico legale che sarà chiamato a dimostrare – tramite le proprie conoscenze scientifiche – sia l’esistenza che l’entità del danno oltre che, ovviamente, la sussistenza di un rapporto causale con le vessazioni subite.

Fonte:
http://www.dirittierisposte.it/Schede/Lavoro-e-pensione/Licenziamento-e-dimissioni/mobbing_id1112562_art.aspx

Il mobbing > Come difendersi

COME DIFENDERSI

Il lavoratore mobbizzato, provato emotivamente e fisicamente, rischia di commettere passi falsi che possono compromettere maggiormente il suo benessere.
La prima indicazione da dare è quella di non prendere decisioni irreversibili. Qualunque decisione, infatti, egli intenda assumere sotto la spinta dell’emozione, si rivelerà in futuro insoddisfacente. Insomma dimissioni per disperazione o accettazione di prepensionamenti forzati e via dicendo. E’ importante che sia guidato a seguire un certo comportamento e a prendere alcuni provvedimenti in prima persona per aiutarsi ed agevolare le azioni di chi lo potrà assistere.

Quelli che seguono sono una serie di suggerimenti da fornire al mobbizzato per affrontare la sua situazione. Ovviamente non si tratta di dati scientifici, ma elementi tratti dall’esperienza di chi ha già affrontato il mobbing.

1. Rafforzare se stessi e documentarsi
2. Raccogliere informazioni
3. Cercare alleati
4. Allontanarsi dal posto di lavoro?
5. Denunciare il mobbing
6. Le vie legali

1. Rafforzare se stessi e documentarsi

Il primo passo che il mobbizzato dovrà fare è raggiungere la consapevolezza della propria situazione, cioè comprendere che i sentimenti che sta provando in questo momento: solitudine, inadeguatezza, rabbia ecc., sono causati dal mobbing e non ne sono essi stessi la causa e capire che sarà necessario mettersi in gioco in prima persona e che gli aiuti esterni (medici, psicologi, avvocati, sindacato) potranno essere dei validi supporti, ma non potranno sostituirsi all’azione della vittima.
Come comportarsi allora?
La scelta migliore è quella di non abbandonare il posto di lavoro, soprattutto se non si ha ancora una valida alternativa di occupazione, e di reagire agli attacchi. E’ utile rispondere ai tentativi di violenza in modo calmo, ma chiaro e deciso a far notare all’aggressore e ai testimoni che la via intrapresa si identifica con un termine specifico, cioè mobbing o molestia morale.

2. Raccogliere informazioni

La vittima a questo punto deve tentare di crearsi una base di elementi che potrebbero servire in futuro come prove giuridiche.
La raccolta delle informazioni e della documentazione deve essere effettuata su due argomenti principali:
– mobbing in genere: raccogliete tutto il materiale disponibile sull’argomento, per combattere contro qualcuno o qualcosa bisogna conoscere il nemico.
– ambiente di lavoro: serve per comprendere se il mobbing è una strategia perpetrata dall’azienda per liberarsi di collaboratori scomodi o se invece si tratta di un caso individuale.

cercare informazioni:
– contattare altre persone con lo stesso problema o che l’hanno avuto in passato.
– parlare con impiegati anziani o ex-dipendenti.
– valutare la presenza di comportamenti aggressivi o atteggiamenti antisindacali all’interno dell’azienda.

raccogliere sempre:
– nome della fonte.
– date degli avvenimenti.
– documenti, e-mail, appunti e qualsiasi altro materiale scritto che attesti una determinata situazione. Anche una mancata risposta ad una domanda fatta per iscritto può essere una prova della degenerazione dei rapporti.

facendo però attenzione a rispettare la privacy altrui. Evitare di:

– chiedere informazioni ad amici o collaboratori stretti del mobber.
– chiedere informazioni personali.
– chiedere di precedenti scatti di carriera, premi e promozioni.

ma invece:
– riportare le azioni mobbizzanti, cioè imparate a tenere un vero e proprio diario delle azioni mobbizzanti: prendete nota di tutti gli attacchi con date, luoghi e nomi delle persone coinvolte o presenti.
– resoconto dei sintomi psichici e fisici.
– confronto fra la successione delle azioni mobbizzanti ed i sintomi.

3. Cercare alleati

Non è possibile sperare in una fine naturale del conflitto, il mobbing non si esaurisce e non tende a diminuire in intensità , anzi cresce in maniera esponenziale. Per cui se avete la sensazione di trovarvi in una situazione senza via d’uscita, diventa necessario cercare aiuti concreti, che a seconda dello stadio in cui ci si trova, possono essere:
– sindacato
– associazioni
– medico di base, medico competente, psichiatri, psicologi:
Solo di recente la categoria medica italiana sta acquistando consapevolezza del problema mobbing. Quindi non aspettatevi di poter avere l’imbarazzo della scelta se cercate uno specialista che possa aiutarvi a combattere il mobbing da un punto di vista clinico. Fino a pochi anni fa, infatti, non esistevano centri specializzati o dottori con specifiche conoscenza legate agli effetti delle persecuzioni psicologiche del mondo del lavoro.
A tutt’oggi il metodo seguito nei centri specializzati internazionali ottiene senz’altro dei risultati eccellenti, specialmente nella cura di quei pazienti che sono arrivati ad un livello di manifestazioni patologiche piuttosto preoccupanti. Il problema per la vittima del mobbing è arrivare a fruire di queste cure specialistiche. Il fatto che debba essere il medico curante del paziente (o il medico della sua azienda) a proporre il ricovero o l’accesso ai servizi della clinica del lavoro rende difficili le cose perchè:
– il medico generico di solito non conosce le problematiche e i sintomi del mobbing;
– il medico aziendale di solito è direttamente dipendente dai dirigenti dell’azienda della vittima e, temendo la cattiva pubblicità che potrebbe derivarne, non diagnosticherà un caso di mobbing se non in situazioni di disagio già molto gravi.
La diffidenza e la mancanza di aggiornamento da parte della maggior parte degli esponenti della categoria medica sono senz’altro i principali ostacoli. Quindi per prima cosa è necessario che la vittima si sforzi di sensibilizzare sul tema del mobbing il proprio medico curante parlandogli del fenomeno e consigliandoli pubblicazioni
– avvocati

4. Allontanarsi dal posto di lavoro?

Quando lo stress e la tensione psicologica diventano inaccettabili si è tentati dall’abbandonare il lavoro per lasciarsi alle spalle una situazione insostenibile. Si può ricorrere ad un allontanamento provvisorio oppure definitivo, ma in entrambi i casi le scelte vanno valutate attentamente.
Nonostante tutto moltissimi bersagli di violenza psicologica decidono di allontanarsi definitivamente dall’ambiente mobbizzante e di cambiare lavoro. Quando non viene vissuta come una sconfitta, questa soluzione restituisce alle vittime una grande serenità interiore e un senso di liberazione. Anche se non ci sentiamo di considerarla come una strategia vincente, soprattutto perchè non è applicabile a tutti i mobbizzati.
– Malattia: un periodo di cura e di riposo può essere utile, anche perchè permette di allentare la tensione psicologica e fare il punto della situazione con un po’ più di serenità .
Tuttavia un’assenza dal lavoro prolungata può aggravare le persecuzioni e rendere ancora più tesi i rapporti con l’azienda, un metodo tipico per continuare a molestare il dipendente durante le malattie, ad esempio, è l’invio eccessivo di visite medico-fiscali a domicilio, che possono ulteriormente esasperare la situazione.
– Trasferimento: in alcuni casi può essere utile richiedere un trasferimento, sempre che la struttura aziendale lo consenta. A volte questa scelta si dimostra risolutiva perchè si elimina l’occasione del conflitto che può essere alla base del mobbing. Se però il mobbing origina dai vertici stessi sull’azienda questa soluzione sarà ostacolata proprio per portare il dipendente alle dimissioni.
– Dimissioni: il fatto di sentirsi con le spalle al muro può portare il mobbizzato a vedere come unica via di uscita le dimissioni. Abbandonare il lavoro è comunque una sconfitta perchè ci si ritira lasciando l’aggressore impunito, è un duro colpo per l’autostima e in più si corre il rischio di non riuscire a trovare una nuova occupazione in tempi brevi

5. Denunciare il mobbing

Stiamo parlando dell’arma più potente che la vittima ha a disposizione nella guerra al mobbing: la denuncia.
Denunciare una situazione di persecuzione psicologica sul luogo di lavoro non significa necessariamente rivolgersi all’autorità giudiziaria o ai propri superiori. Oltre alla denuncia ufficiale, ci sono altri modi di rivelare il proprio status di mobbizzato e rompere il silenzio del quale il mobbing si nutre: denuncie ai giornali, diffusione personale, discorsi in occasioni pubbliche, ecc.
La denuncia è un atto esplicito, compiuto principalmente all’interno dell’ambiente lavorativo, con il quale il mobbizzato fa i nomi dei propri persecutori, spiega in quale occasione ha subito violenza psicologica e, soprattutto, dichiara di non essere più disponibile a sostenere il ruolo della vittima.
Ci sono mille modi per presentare questa denuncia. La vittima può semplicemente alzarsi in piedi e fare un discorso davanti ai colleghi. Oppure può appendere un foglio dattiloscritto in bacheca o distribuirlo in forma di volantino. Può intervenire in un’assemblea sindacale o in una riunione. Può inoltrare protesta formale presso i superiori, seguendo le modalità e i regolamenti specifici dell’azienda. Ancora: può chiedere ai giornali di pubblicare la sua storia, rivolgersi ai sindacati per aprire una vertenza, fare appello alle autorità giudiziarie per un ricorso o una querela contro i suoi persecutori.
L’importante è che la denuncia abbia queste quattro caratteristiche:

1. deve avere pubblicità sul luogo di lavoro: i vostri colleghi devono essere a conoscenza di tutto, così non correte il rischio che i vostri avversari li portino dalla loro parte facendovi passare per paranoico o per un elemento di disturbo.

2. deve essere trasparente e comprensibile: dalla vostra denuncia devono risultare fatti e date verificabili, non opinioni confuse o sfoghi emotivi. Il mobbing va rappresentato come una sequenza precisa e chiara di episodi di sopraffazione, non come un oscuro dramma psicologico fra voi e i vostri persecutori.

3. deve essere una rivendicazione di dignità : il mobbizzato dovrebbe avere ben chiaro il proprio ruolo di essere umano degno di rispetto. Non fate mea culpa, non mendicate la pietà degli altri: ammettendo di essere stato vittima di abusi morali mostratevi determinato nel rifiutare questo ruolo per il futuro.

4. deve essere un chiaro atto d’insubordinazione: i toni smorzati e le mezze frasi non vi metteranno in salvo dalle rappresaglie, quindi siate chiari. Denunciando, state compiendo un gesto di disubbidienza civile contro un sistema di regole condivise.
Dichiarate di conoscere e accettare le conseguenze di questa vostra presa di posizione. La denuncia non è il colpo di testa di un lavoratore stressato, ma parte di una battaglia finalizzata all’eliminazione del mobbing dalla vostra azienda.

Perchè denunciare?: il mobbing, per la persona che ne è bersaglio, è una specie di “stupro morale”. Ad esso (proprio come alla violenza sessuale) si legano sensazioni di vergogna e di violazione della soggettività profonda, conseguenze psichiche e fisiche indesiderate, incapacità di raccontare adeguatamente questa esperienza traumatica.
E’ necessario che la vittima impari a trasformare in parole di senso compiuto la massa informe di emozioni contrastanti (dipendenza, vergogna, umiliazione, insicurezza, a volte autentico terrore) che le agita. Ecco cosa sta dietro un’azione di denuncia di questi abusi lavorativi: la volontà di non tacere. Parlare di mobbing, -e quindi anche parlare di lavoro, perchè il mobbing è una delle forme assunte dalla disciplina del lavoro- vuol dire sensibilizzare gli altri.
Vuol dire essere un esempio per tutti e così fare del bene a tutti.

– Denunciare vuol dire “comunicare”, cioè mettere la cosa in comune con gli altri e creare con loro un legame profondo: ora se voi cadrete, loro cadranno con voi; se voi resistete, loro resisteranno con voi. La denuncia formale di una situazione di mobbing non deve essere uno sfogo, bensì una prima battaglia che il mobbizzato può vincere con le sue sole forze. I vostri colleghi sono “postazioni”, e con le vostre parole voi dovete “conquistarli”.
Soprattutto la denuncia è una questione di definizione. Fino a quel momento il mobbizzato accetta la definizione che gli viene fornita dai suoi persecutori (“tu sei sbagliato”, “tu sei paranoico”, “tu non lavori bene”). Con la denuncia invece il bersaglio di mobbing fornisce la propria definizione di se stesso e la spiegazione di tutti gli episodi avvenuti. I colleghi e le persone dell’ufficio, abituati a pensare a quella situazione come a piccoli conflitti naturali, ora ne scoprono l’enormità e l’arbitrarietà .
Definirsi vittima del mobbing aiuta a “denormalizzare” la violenza psicologica.
Alcuni obiettano che la denuncia può essere pericolosa sia da un punto di vista pratico (il mobbizzato che si ribella rischia ulteriori persecuzioni, la perdita del lavoro o denuncie per diffamazione), sia da un punto di vista emotivo (il mobbizzato che racconta il suo trauma rischia, secondo alcuni, di ritraumatizzarsi).
Alcuni ancora sostengono che la denuncia è quanto meno inutile perchè non riesce a donare alla vittima quella sensazione di liberazione emotiva (emotional release) a cui aspira.
Ma il problema, se messo in questi termini, è mal posto. Il mobbizzato che ricorre alla denuncia non deve cercare sollievo ne la fine istantanea dei suoi tormenti: deve avere in mente solo la tattica che intende seguire per combattere il mobbing.

6. Le vie legali

Quando sono falliti tutti i tentativi possibili di accordo e di soluzione del problema, l’ultima via che rimane è quella legale. Bisogna essere coscienti però del fatto che intraprendere le vie legali comporta un notevole dispendio di energie psico-fisiche ed economiche.
Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing; malgrado questo, sono sempre di più i lavoratori che si affidano agli strumenti del diritto. L’arma della denuncia alle autorità giudiziarie è una delle più estreme. Ma attenzione, è anche la più difficile da gestire perchè impone uno sforzo emotivo e finanziario che non tutti, specie dopo un lungo periodo di mobbing, sono in grado di sopportare. Un mobbizzato, quando vuole intentare una causa contro il proprio persecutore, può fare appello tanto al diritto del lavoro quanto alla giurisprudenza civile e penale.
Un avvocato del lavoro potrà aiutarvi nei casi di licenziamenti o trasferimenti ingiusti e più in generale nei casi di bossing che si concretizzano in provvedimenti aziendali irregolari. Ci sono tre articoli dello Statuto dei lavoratori (legge n.300 del 20.05.1970) che in minima parte si adattano ai casi di mobbing:
– art. 9 “tutela della salute e dell’integrità fisica”
– art. 15 “atti discriminatori” per motivi politici o religiosi
– art. 18 “reintegrazione nel posto di lavoro”, nel caso di ingiusto licenziamento
Il mobbizzato ha anche a disposizione strumenti legislativi, nel caso in cui la persecuzione psicologica porti a malattie professionali. Gli abusi lavorativi vengono di fatto equiparati a lesioni personali colpose.
– legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
– art. 2087 del Codice Civile: obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute fisica dei dipendenti.
Come si vede si tratta di una legislatura inadeguata e antiquata, che ha bisogno di essere aggiornata e che nei fatti si presta poco alle esigenze delle vittime di persecuzioni lavorative (vedi alla sezionelegislatura).

Nella scelta del legale bisogna stare attenti ad alcuni punti:
– prima di rivolgervi ad un legale raccogliete tutto il materiale scritto che avete a disposizione: i documenti ufficiali e ufficiosi da voi prodotti, le schede dei sintomi psicofisici e delle azioni mobbizzanti ecc.
Questa documentazione servirà al legale per farsi un quadro della situazione.
– fornire il materiale raccolto in ordine cronologico.
– scegliere un avvocato che abbia già esperienza in casi simili.
– evitare studi collegati in qualche modo con l’azienda o coi datori di lavoro.
– accertarsi che la stessa persona segua il caso fino in fondo.
– decidere assieme gli obiettivi da raggiungere: la reintegrazione nel vostro ruolo? un trasferimento? la revoca di un trasferimento? un risarcimento? Assicuratevi di aver ben chiare le strategie.
– stabilire una cadenza degli incontri.

In caso di licenziamento con successivo reintegro in seguito a esito positivo del procedimento legale è necessario essere consapevoli che spesso le azioni persecutorie subiscono solo una battuta d’arresto, ma i problemi permangono e a volte peggiorano.
Qualche indicazione su come comportarsi in queste situazioni:
– continuare a segnalare gli abusi
– mettere al corrente più gente possibile
cercare di rendere pubblica la situazione.

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Fonte:
http://www.contromobbing.org/16/come-difendersi