Di Matteo Renzi
Dieci punti per E-News di questa settimana
1. Mettere in discussione l’idea di Schengen significa uccidere l’idea di Europa. Abbiamo lottato per decenni per abbattere i muri: pensare oggi di ricostruirli significa tradire noi stessi. Vorrei essere chiaro: il bisogno di sicurezza è un valore primario, irrinunciabile. Ma garantirlo con la chiusura non funziona. Se vogliamo più sicurezza, lavoriamo a livello militare, diplomatico, politico. Se vogliamo più sicurezza rianimiamo le nostre periferie con lo sport e con le scuole. Se vogliamo più sicurezza riaffermiamo la nostra identità nei musei e nei teatri, investendo in cultura una cifra corrispondente a ciò che spendiamo per la sicurezza, seguendo la proposta italiana che – ne sono certo – diventerà presto bandiera comune in Europa. Non accettiamo mai la demagogia di chi vorrebbe rinchiuderci nello sgabuzzino delle nostre paure.
2. Per questo motivo l’Italia chiede più Europa. Ma chiede un’Europa diversa. Un’Europa che non perda tempo dietro alle polemiche inutili e si concentri sulle questioni vere. Per dare un segnale in questa direzione abbiamo deciso di organizzare per sabato prossimo – il giorno dopo l’incontro di Berlino con Angela Merkel – una tappa a Ventotene, simbolica capitale dell’ideale europeo. Durante la prigionia fascista Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e i loro compagni ebbero la lucidità e la visione di costruire il domani. Erano in carcere, fuori c’era la seconda guerra mondiale, eppure loro pensavano agli Stati Uniti d’Europa. L’Italia chiede più Europa. Più Europa sociale, più crescita, più diritti. Un’Europa capace di osare di più e di funzionare meglio di oggi.
3. Abbiamo affrontato questo tema a Mantova, sabato. Mantova è la capitale italiana della cultura per il 2016. E la bellezza di Mantova (qui il video di Mantova2016) è ulteriormente impreziosita dall’ottimo lavoro del sindaco Palazzi e del suo staff. Spero che tanti italiani visitino quest’anno la città dei Gonzaga. Ma spero soprattutto che tutti gli italiani abbiano chiaro nel cuore il messaggio che stiamo dando con questo tour nei teatri: l’Italia è una superpotenza culturale. E il mondo ha bisogno dell’energia e dei valori degli italiani. L’Italia è forte e non ha paura del proprio futuro
4. In questa settimana abbiamo approvato il decreto sulle classi di concorso per la scuola. Fuori dai tecnicismi: dopo che con la Legge 107 del 2015, chiamata Buona Scuola, abbiamo dato un colpo durissimo al precariato come condizione esistenziale per gli insegnanti, adesso abbiamo dato il via libera a un concorso serio, rigoroso e duro. Questa scelta porterà in cattedra 63.217 professori. Vogliamo che sia una sfida seria, impegnativa, finalizzata a mettere in cattedra i più bravi, i più appassionati, i più tenaci. Per i nostri figli, per i nostri ragazzi, vogliamo semplicemente il meglio. Non possiamo accontentarci di meno.
5. Settimana importante anche per la pubblica amministrazione. Abbiamo approvato i primi undici decreti legislativi della Legge 124 del 2015, la riforma della PA. Qui trovate alcune slide esplicative. Via il furbetto che timbra il cartellino e non lavora, ma via anche il dirigente che non provvede in tal senso. Riduzione di poltrone per le aziende partecipate e grande spinta al processo di aggregazione/trasformazione/fusione (ricordate? Da ottomila a mille). Riduzione dei tempi tecnici quando si presenta una pratica: cambiando la normativa sulla conferenza dei servizi e sulla Scia si riducono i tempi e se proprio va tutto male, ma male male male, i tempi al massimo saranno 150 giorni. Cinque mesi, non più i sette otto anni di attesa che conosciamo oggi. Passiamo da cinque a quattro corpi di polizia, con la Forestale che entra nei Carabinieri. Mai più giochetti dei partiti sulle nomine nelle aziende sanitarie: adesso deve prevalere il merito e soprattutto chi sbaglia va a casa senza troppi complimenti. Meno autorità portuali (da 24 a 15), meno intoppi burocratici con la semplificazione, meno poltrone in questo settore che è potenzialmente enorme per l’Italia ma che ancora oggi vede le navi che passano dal canale di Suez fare tre giorni di navigazione in più per andare a Rotterdam anziché sbarcare in Italia: dovremo pur cambiare rotta, noi.
6. Per chi ha seguito le montagne russe dei mercati finanziari internazionali, qui c’è la mia posizione spiegata nel dettaglio in una intervista al Direttore del Sole 24 Ore giovedì scorso. Per comodità la alleghiamo in fondo alla enews. Per chi non ha tempo/voglia: l’Italia è un Paese solido, il sistema bancario anche. Bisogna tuttavia accelerare sulle misure che sono rinviate da troppo tempo, a cominciare dalle fusioni aggregazioni di banche, a cominciare dalle Popolari per le quali la riforma del nostro governo 2015 – a lungo contestata – è invece decisiva e strategica. Nel frattempo i dati di oggi confermano che la ripresa italiana si deve innanzitutto alla ripartenza del mercato interno. Tanto per offrire un dato Istat di oggi: gli ordini industriali tra novembre 2015 e novembre 2014 sono cresciuti del +12,1%, di cui ben +18,7 gli ordini interni.
7. Ma questa settimana è stata davvero decisiva anche per la riforma costituzionale. Per la prima volta sono intervenuto sul tema in sede parlamentare, prendendo la parola al Senato (https://www.youtube.com/watch?v=zZQ9kvqHV_8). Ho reso omaggio ai senatori: l’Italia è il primo paese occidentale in cui un’assemblea parlamentare vota per tre volte il proprio superamento e la maggioranza assoluta dei senatori vota per la cancellazione del proprio ruolo. Una cosa enorme, un gesto di coraggio e dignità della politica che viene troppo spesso svilito da singole polemiche contingenti e pretestuose. La fine del bicameralismo paritario è un risultato storico. Adesso toccherà ai cittadini accettare questa novità che rende più semplice e efficiente la politica o chiedere che tutto resti come adesso. Ho fiducia nell’Italia che dice sì.
8. Sull’omicidio stradale il Governo è andato sotto alla Camera, purtroppo. Su un singolo voto, su un singolo emendamento. La legge sull’omicidio stradale, che noi vogliamo e per la quale ci stiamo battendo con grande energia, ci sarà, sia chiaro. Possono rinviare l’approvazione, ma la legge si farà. Adesso torneremo ancora al Senato, per la quarta navetta. Sul contenuto del singolo emendamento, ovviamente, si può discutere. Ma quello che mi ha fatto male è che molti deputati dell’opposizione – contenti per il voto contro il Governo – hanno iniziato a urlare e applaudire in aula, esprimendo la loro sfrenata gioia. Incuranti del fatto che in tribuna, e a casa, molte famiglie che hanno perso un figlio, un genitore, un parente per un incidente stradale hanno vissuto quegli applausi come uno schiaffo. Si può strumentalizzare ogni battaglia politica. Si può legittimamente andare contro il Governo su tutto. Ma credo sia giusto avere più rispetto per le vittime degli incidenti, che hanno patito quegli applausi come una clamorosa offesa a loro e al loro dolore. Aggiungo: ieri un cittadino di 59 anni, in Liguria, è stato ucciso da un conducente che viaggiava a tutta velocità, sotto effetto di droga e di alcool. Se gli stessi che hanno applaudito in aula avessero votato a favore, oggi quel conducente potrebbe essere punito con molta severità. Invece non è accaduto. E oggi i colleghi di quelli che hanno votato contro il Governo fanno comunicati stampa per chiedere più severità? Con che faccia, scusate?
9. Si è dimessa la Sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo. Eletta con i Cinque Stelle è stata poi scaricata dai big del movimento di Grillo. Su questa vicenda i Cinque Stelle hanno cambiato più versioni in una settimana che capigruppo in due anni. Sapevano, non sapevano, immaginavano, ignoravano, era ricattata, non era ricattata, era ricattata a sua insaputa, noi non potevamo non sapere, eccetera. Il punto è che – sarà il destino cinico e baro – dovunque i Cinque Stelle governano, succede qualcosa. Dai rifiuti di Livorno fino al termovalorizzatore di Parma, dal bilancio di Civitavecchia fino a Gela dove hanno espulso il sindaco. Non riescono a mandare avanti un solo progetto sul quale si sono impegnati con i cittadini. Noi abbiamo molto investito sulla nuova classe dirigente Cinque Stelle: abbiamo dato i voti ad alcuni dei giovani leader per farli diventare presidente della Vigilanza o vicepresidente della Camera. Senza il PD non avrebbero mai avuto i voti. Lo abbiamo fatto perché crediamo che se tanti italiani hanno votato per loro, sia giusto che questa opposizione abbia una presenza istituzionale. La loro replica è un odio cieco contro il PD, come dimostrano anche le acrobazie parlamentari di questa settimana. Ciò nonostante, insisto: nessuna polemica con i Cinque Stelle. Anzi, aiutiamoli. Ne hanno bisogno come non mai, specie in questo momento. E ne ha bisogno un Paese in cui il rapporto maggioranza-opposizioni non può essere impostato sugli insulti. Nel frattempo la solidarietà mia e di tutto il Governo al giovane Domenico Sarnataro, di Quarto, che ha ricevuto minacce da ambienti legati alla Camorra: l’Italia per bene è con chi non si arrende
10. Amministrative. Tanta discussione, anche accesa, nel percorso che sta portando il PD – con le primarie – a scegliere il candidato sindaco di Milano. A breve anche la partenza di un percorso analogo a Roma, Napoli. Si potrà dire tutto quello che si vuole del PD, ma siamo l’unico partito che accetta il confronto con i cittadini. Che non decide i candidati in una cena ad Arcore o in un sondaggio (finto) sul blog di un’azienda privata. Che si apre al rapporto con le persone. Abbiamo mille limiti, certo. Ma il PD è la più straordinaria esperienza di partecipazione democratica in Europa. Teniamocela stretta.
Pensierino della Sera. Charlie Hebdo pubblica una vignetta. Atroce, nel merito. Mostra il piccolo Aylan, il bimbo morto questa estate, icona e simbolo della strage infinita di bambini (19 morti anche sabato scorso, in un sostanziale silenzio della comunità internazionale). E la vignetta si domanda: cosa sarebbe diventato Aylan? La provocazione, per me squallida, è qui. Memore degli sguardi dei bambini di Aleppo e di altre zone calde della Siria, bambini incrociati innanzitutto nel viaggio dentro le scuole libanesi (foto), sono inorridito. La risposta più bella e efficace l’ha data la regina Rania di Giordania. Che ha twittato questa contro vignetta. La rilancio da qui. In ognuno di questi piccoli, c’è Mozart bambino, avrebbe scritto Saint-Exupery. Non giriamoci dall’altra parte, non facciamo finta di niente.
Un sorriso,
Matteo
PS. Via E-News vi avevo preannunciato due belle iniziative di attrazione investimento. Sono arrivate, puntualissime. Cisco (qui) e Apple (qui) hanno lanciato due interessanti investimenti in Italia, soprattutto nel Sud del nostro Paese. Altro che inutili convegni e preoccupati editoriali, servono coraggio e scelte forti Se il mezzogiorno si libera dal vittimismo e dalla rassegnazione può diventare il più grande elemento di forza dell’Italia. Io ci credo e ci lavoro con tutto l’entusiasmo di cui sono capace. Sono certo che non sarò da solo
Intervista sole24 ore 21 gennaio 2016
Il mondo si è “fermato”, Cina e emergenti non sono più la locomotiva, la Russia è in recessione, il petrolio è sceso sotto il livello di guardia, vecchi e nuovi terrorismi minano le basi della crescita americana e della timida ripresa europea, la tempesta finanziaria è globale. C’è, però, un’altra tempesta tutta italiana che riguarda le nostre banche e brucia molto di più perché incide sulla fiducia e tocca il risparmio degli italiani. In una giornata di passione per Piazza Affari e i suoi titoli bancari, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, risponde su tutto: conflitto con l’Europa e questione bancaria, scandali e trasparenza dei mercati, manovre a rischio e clausole di salvaguardia, riforma dei contratti, ripresa e grandi partite dell’acciaio (Ilva) e della banda larga (Telecom), pubblica amministrazione, riforme istituzionali. Ascoltiamolo.
Presidente Renzi, siamo entrati nel nuovo anno con alcuni cauti segnali positivi sul fronte dell’economia reale, ma assistiamo a una nuova turbolenza sul fronte finanziario, con l’Italia e le sue banche in particolare sotto pressione sui mercati internazionali. In questo contesto la scena è stata occupata da un confronto muscolare del governo italiano con la Commissione europea. Non crede che possa essere una strategia ad alto rischio?
Dividerei i due aspetti. La tensione sul fronte bancario ci vede attenti e preoccupati, ma può essere persino una buona occasione per il sistema del credito italiano, a condizione che si agisca presto e bene. Ma i rapporti con l’Europa non sono collegati. Io credo che la politica economica europea vada cambiata. E del resto le istituzioni europee sono in difficoltà su tutto: immigrazione, crescita, energia, sicurezza. L’Italia non mostra i muscoli, ma dobbiamo smetterla col provincialismo di chi passa le giornate a pensare che Bruxelles sia infallibile. Anche perché – la storia di questi dieci anni ce lo insegna – purtroppo non sono infallibili alla Commissione.
Pretendere un cambiamento di politica europea in favore della crescita è giusto. Ma lei ha le alleanze per poter alzare la voce?
Io non alzo la voce. Alzo la mano. E faccio domande. È giusto un approccio tutto incentrato sull’austerity quando i populismi sono più forti nelle zone svantaggiate e di crisi economica? È giusto avere due pesi e due misure sull’energia? È giusto procedere a zig-zag sull’immigrazione? Mai alzato la voce a Bruxelles. Su questi punti in tanti pensano che le cose debbano cambiare. La sfida oggi è costruire una serie di proposte, come l’Italia – ritornata grande grazie alle riforme – può e deve fare. Nessuna polemica, solo proposte. Gli alleati non mancano, glielo garantisco.
L’attacco che il presidente della Commissione Juncker ha rivolto all’Italia alcuni giorni fa è inusuale e inaccettabile. Ma al di là dell’attacco, non la preoccupa che nessun capo di governo d’Europa abbia espresso solidarietà all’Italia sottolineando questa incongruenza? Non c’è il rischio concreto di un isolamento?
Credo che Jean-Claude abbia sbagliato linguaggio nel metodo e sostanza nel merito. Ma non mi preoccupa certo un infortunio verbale del presidente della Commissione: siamo l’Italia, uno dei Paesi fondatori. E il mio partito è il partito più votato in Europa, con oltre undici milioni di voti. Se Juncker è lì, è grazie anche ai voti del Pd e del Pse. Non sono permaloso. Se Juncker sbaglia una conferenza stampa, pace. Se Juncker sbaglia politiche, allora sì che mi preoccupo.
Che cosa dirà alla Merkel quando la incontrerà?
Che la prima a essere interessata ad avere un’Italia forte e una Germania meno egoista si chiama Angela Merkel. La stimo e farò di tutto per darle una mano. Ma le regole devono valere per tutti, nessuno esclusa. Anche per la Germania, insomma.
Quando da Bruxelles si denuncia che a Roma manca un interlocutore, si sottolinea quello che è un problema più volte evidenziato in questi anni: la debolezza italiana rispetto ad altri Paesi nel lavorare con la dovuta costanza, serietà, determinazione sui dossier più delicati. Non crede che sia un problema vero?
Con una battuta potrei dire che di interlocutori ce ne sono fin troppi. Ma riconosco che un punto di verità c’è: l’Italia ha investito meno del dovuto nella creazione di una tecnostruttura in grado di essere squadra. Abbiamo funzionari e tecnici tra i più brillanti: talvolta non si sentono parte della stessa comunità. La dico in un altro modo: una squadra con diversi fuoriclasse che non si passano la palla e litigano nello spogliatoio non vince lo scudetto. La nomina di Carlo Calenda e la professionalità di tante donne e uomini della diplomazia, della carriera europea, della pubblica amministrazione in Italia consentiranno di lavorare meglio in questa direzione.
Facciamo l’esempio dei fondi europei. È antica la nostra incapacità a spendere e a spendere bene le risorse europee. Il suo governo se ne sta occupando? E con chi?
Sui fondi europei abbiamo fatto uno strepitoso lavoro di recupero, con il team guidato da De Vincenti. Pensi solo a Pompei, per fare un esempio. Certo, il potere di veto di alcune regioni è stato eccessivo, ma anche grazie alle riforme le cose stanno cambiando.
È soprattutto sulla questione bancaria che l’Italia, in passato come oggi, non è riuscita a difendere gli interessi nazionali. Sul tema cruciale della bad bank non si poteva trovare prima un’intesa con Bruxelles?
Certo che si poteva fare prima. Aggiungo: si doveva fare tre-quattro anni fa. Si è scelta un’altra soluzione e si è perso l’attimo fuggente. E il bello è che qualche responsabile di quella omissione adesso ci fa pure la morale. Ma bando alle polemiche, la prego: il ministro Padoan sta facendo miracoli sapendo che occorre un insieme di norme, a cominciare da quelle che velocizzeranno il disincagliamento dei debiti. Questione di qualche settimana e tutto sarà più chiaro.
Ma oggi lei ritiene che possa essere imminente una soluzione che possa attenuare il peso dei Non Performing Loans (Npl) sul sistema bancario?
La prima soluzione sui Npl è far ripartire l’economia, agevolare il mercato privato a comprarseli, incoraggiare aggregazioni, fusioni e consolidamenti bancari: tutte cose su cui la nostra iniziativa è incessante nel rispetto di tutte le norme. Io credo che il mercato stia mandando segnali chiari e penso che azionisti e manager interessati sappiano perfettamente cosa va fatto. Aggiungo: io credo stiano lavorando alacremente per farlo.
Era così impossibile ottenere la non retroattività delle nuove regole sulla risoluzione delle crisi bancarie?
Dura lex, sed lex. Noi rispettiamo le regole. E proprio per questo siamo autorizzati a chiedere agli altri di non usare due pesi e due misure.
Intanto in questi giorni i titoli bancari sono stati fortemente penalizzati sui mercati finanziari. Con lo scudo della Bce non è più possibile un attacco ai titoli sovrani di un Paese dell’Eurozona, come è accaduto in passato anche per l’Italia. Oggi l’opinione diffusa è che l’unico attacco possibile possa passare proprio per il settore bancario. È quello che sta accadendo?
No. C’è una manovra su alcune banche, punto. Il sistema secondo me è molto più solido di quello che legittimamente alcuni investitori temono. Ai miei interlocutori dico sempre che quando alcuni importanti investitori hanno abbandonato l’Italia nel momento più buio del 2011-2012 hanno perso una grande opportunità: se avessero mantenuto le loro posizioni ad esempio sui titoli di stato – con quei valori – oggi farebbero soldi a palate. E invece magari l’assicuratore tedesco o il bancario francese ha acquistato altro. E oggi se ne pente, eccome se se ne pente. Gli eventi di queste ore agevoleranno fusioni, aggregazioni, acquisti. È il mercato, bellezza. Vedrà che sarà uno scenario interessante, ne sono certo.
Che cosa vi siete detti nell’incontro a Palazzo Chigi con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e il direttore generale Salvatore Rossi? Avete misure allo studio?
Seguiamo la vicenda, insieme.
Il Monte dei Paschi, in particolare, è sotto attacco: ha perso oltre il 40% in tre giorni. Gli investitori e i risparmiatori sono preoccupati. C’è una soluzione in vista? Può rassicurarli e come?
Il Monte dei Paschi oggi è a prezzi incredibili. Penso che la soluzione migliore sarà quella che il mercato deciderà. Mi piacerebbe tanto fosse italiana, ma chiunque verrà farà un ottimo affare.
Un analista di JP Morgan, ripreso dal Financial Times, ha detto: evitate l’Italia. C’è o non c’è il rischio che si moltiplichino i grandi investitori che tornino a suggerire di evitare i titoli italiani, anche in relazione allo scontro con Bruxelles?
Gli analisti con cui parliamo tutti noi, i big, di JP Morgan e di altre realtà sanno perfettamente che investire in Italia oggi è una ghiotta opportunità. Direttore, investire in Italia è una delle scelte più convenienti oggi: Paese stabile, sistema solido, tensioni geopolitiche altrove. Gli investitori lo sanno.
Ma gli italiani possono stare sicuri con i loro risparmi?
Ovviamente sì. E del resto avere uno dei risparmi privati più alti rispetto al Pil è la grande forza italiana. Non la disperderemo mai.
Sulla questione delle quattro banche (Banca Marche, CariFerrara, Banca Etruria, CariChieti) tutte le istituzioni coinvolte e i soggetti coinvolti hanno fatto il proprio dovere?
Nella situazione data non avevamo alternative. Mi spiace per gli obbligazionisti subordinati per i quali – comunque – confermo l’impegno: chi è stato truffato riavrà i suoi soldi grazie all’ottimo lavoro che sta predisponendo Anac con il Mef. Ma con queste regole non avevamo alternative: abbiamo salvato un milione di conti correnti, migliaia di stipendi, quattro banche che almeno avranno un futuro.
È merito di questo governo avere fatto la legge sulle banche popolari e avere costretto quelle messe peggio (compresa Banca Etruria) a fare i conti con i loro errori e con la nuova realtà. Sul piano politico, però, l’attenzione resta concentrata su Banca Etruria: il padre del ministro Boschi non è indagato ma è stato sanzionato da Banca d’Italia e sono emersi incontri tra lui e una figura discussa come Carboni. Si sente di escludere ogni tipo di conflitto di interesse?
Non c’è nessun conflitto di interessi. Il ministro Boschi lo ha spiegato in modo impeccabile in Aula e la Camera ha respinto la mozione di sfiducia. Comprendo le strumentalizzazioni interessate di parte delle opposizioni, ma la realtà è più forte delle strumentalizzazioni.
Il Sole 24 Ore con un suo Manifesto ha proposto di introdurre prospetti semplificati, dove sia indicato con estrema chiarezza il livello di rischio dei prodotti finanziari. Abbiamo anche presentato un fac-simile. Il Governo, lei, intende sostenere questa iniziativa?
Condivido totalmente il principio. Sul fac-simile lascio a Mef, Consob, Banca d’Italia e Abi le valutazioni tecniche. Ma il principio che esprimete è sacrosanto.
Si è parlato in passato di un progetto di fusione tra Banca Intesa e UniCredit. Ha mai creduto in questo piano? E lo ritiene ancora necessario?
Non è mia competenza entrare in queste dinamiche.
Non crede che l’Italia abbia bisogno di più banche grandi in competizione tra loro e non di una grande e tanti nani intorno?
L’Italia ha il sistema delle piccole e medie imprese come punto di forza. Ma ci vogliono grandi player in alcuni settori: qualche banca, qualche assicurazione, qualche multinazionale nell’energia, nell’auto, nell’agroalimentare. In tutti i settori chiave. Le modalità però dipendono dagli azionisti, non dal Governo.
Altro tema di confronto con l’Europa è quello della flessibilità sui conti pubblici. C’è il rischio in primavera di dover correggere la manovra appena approvata?
Nessun rischio. Stiamo parlando di qualche decimale di differenza. In compenso questa Stabilità restituisce molta fiducia all’Italia e agli italiani. Per una volta non ho sentito una critica: Imu, superammortamenti, tasse agricole, welfare aziendale, patto di stabilità per investimenti dei comuni, potrei continuare a lungo. A me sembra una cosa enorme, totalmente oscurata dalle polemiche più o meno giustificate sulle banche. Ma l’Italia c’è, riparte. Con buona pace di chi scommetteva sul suo fallimento
Guardiamo alla prossima manovra: con le clausole di salvaguardia e un’Europa che appare molto poco disponibile a concedere nuova flessibilità potrebbe essere necessaria una stretta molto penalizzante per la ripresa. Come eviteremo questo rischio?
La flessibilità europea non è una concessione, direttore. È una regola dell’Unione Europea, un preciso impegno di Juncker e dei suoi. Io non ho cambiato idea. Credo neanche lui.
Che segnali avete sul fronte della ripresa? Ci sono dati positivi, ma non univoci, sia sul fronte dell’occupazione che della crescita.
I fattori esterni paradossalmente non ci aiutano: instabilità, il crollo del prezzo del petrolio diventa un’insidia geopolitica, l’inflazione non riparte. Ma l’Italia sta finalmente ripartendo, lo vediamo dall’immobiliare ai consumi. Questa è davvero la volta buona.
Cruciali saranno anche gli investimenti esteri…
I dati sugli investimenti esteri non sono mai stati così buoni. Aggiungo che non è solo merito delle riforme: la situazione di instabilità che hanno altre regioni del mondo, e persino qualche Paese nostro amico europeo, rendono l’Italia una delle realtà più interessanti. Ma dobbiamo fare ancora di più nell’agevolare l’investimento. La riduzione dei tempi sulle pratiche amministrative votata ieri dal Consiglio dei Ministri va in questa direzione.
Riforma della contrattazione, interverrete se le parti non troveranno un accordo? E in che direzione?
La palla è nelle mani delle parti sindacali. Ma il tempo sta per scadere. Se non si sbrigano loro, ci pensiamo noi. E non è una minaccia, ma una semplice constatazione di buon senso, converrà.
Lei è favorevole a un ingresso di Cdp nel capitale di Telecom scambiando la partecipazione in Metroweb? E che ruolo può avere l’Enel in questa partita?
Decideranno i vertici di Cdp.
Caso Ilva: a parte lo scontro con l’Europa che non promette nulla di buono, vede una via di uscita? Può dirci come?
Noi non accetteremo mai che Ilva sia uccisa dalle lobby di acciaieri di altri Paesi. Adesso è aperto il bando, vediamo se – come io credo – ci sarà una cordata vincente. Sono ottimista. Lo scontro europeo su Ilva mi sembra il meno grave.
Infine, capitolo riforme. Il Governo ha commesso qualche errore ma ha fatto molto: ieri è stata la volta dei decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione, quella più attesa in casa e fuori, che dovranno però ancora andare alle Camere per i pareri.
Quella più attesa è sempre la prossima. Quella della Pa segna un buon passo in avanti. Nulla è decisivo, tutto è importante: dai furbetti della timbratura sino alla riduzione dei corpi di polizia, dalle aziende partecipate sino alla dirigenza sanitaria fino ai tempi di concessioni e autorizzazioni. Ieri ho parlato in Senato sulla riforma costituzionale di revisione del bicameralismo e del titolo V perché a mio giudizio è una riforma storica.
Conferma che il referendum costituzionale sarà anche un test sul Governo? Ci può essere la tentazione di andare al voto in caso di vittoria?
Se perdo il referendum, lascio la politica. Non sono come gli altri. Non resto al potere se non posso cambiare le cose. Se vinciamo, invece, concluderemo la legislatura regolarmente: finalmente in Italia si rispetteranno le scadenze elettorali senza la brutta prassi delle elezioni anticipate. Ma per il referendum andremo casa per casa: la scelta è tra l’Italia che dice sempre no e non vuole mai cambiare e chi invece ci prova con coraggio e determinazione.