Di Vittorio Venditti
(Foto), Di Salvatore Di Maria E Antonio Venditti
Adelfia: Quest’Anno Un Disastro
Anche quest’anno, come ormai quasi tradizione, il dieci di novembre molti di noi lo hanno dedicato alla gita che si fa ad Adelfia (BA), in occasione delle festività riservate al locale santo patrono:
San Trifone.
Lo scorso anno, parlai della festa e di come si svolge in tempi normali.
Oggi invece, mi tocca parlare di come, nella giornata di ieri, abbiamo vissuta una festa, non festa.
Già al momento di partire, tutto lasciava presagire che la giornata sarebbe andata storta.
Il basso numero di partecipanti alla gita, (eravamo ventisette), la diceva lunga sul disinteresse per la gita stessa, da alcuni imputato al giorno infrasettimanale, da me e da altri, più verosimilmente da considerare assoggettabile al fatto che, di anno in anno, nulla cambia, da tutti i punti di vista, in primis quello logistico.
Partiti da Gambatesa alle sei e trenta, dopo la tradizionale sosta a metà percorso, arrivavamo ad Adelfia verso le dieci.
Qui, come detto, visto che nulla era cambiato, pativamo le stesse tradizionali difficoltà d’ingresso in paese.
Va considerato che, una distanza percorribile in quattro minuti, (è questo il tempo che s’impiega per uscire da Adelfia nel viaggio di ritorno), all’andata, viene coperta in circa cinquanta minuti.
Una cosa diversa però l’ho dovuta riscontrare:
Questa volta, per me la prima, arrivando ad Adelfia trovavamo la cittadina sotto una pioggia battente, pioggia che ci avrebbe costretti a restare nel pulman fino a circa le dodici e un quarto quando, dopo aver contrattato ed acquistati alcuni ombrelli, provavamo ad incamminarci verso la fiera, per verificare se, a differenza degli anni precedenti, fosse possibile trovare qualcosa di nuovo da vedere e, nel caso, da acquistare.
Complice la pioggia, che nel frattempo era diminuita d’intensità, ma ancor più protagonista la globalizzazione che ormai rende insipide ed insignificanti anche fiere e mercatini vari, non solo non abbiamo trovato nulla di nuovo, ma quello che era possibile reperire sulle bancarelle, sapeva chiaramente di fondo di magazzino.
Sai bene che a me, anche in questi casi, piace vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, per cui, ti racconto una delle poche cose simpatiche accadute ieri.
Stavamo facendo il primo giro, (come sopra), quando ad uno della nostra squadra, (se fossi stato io, avrei fatto il mio nome, non mi va di mettere alla berlina il mio amico per un’azione del tutto involontaria), è venuta l’idea di acquistare una pannocchia di gran turco, arrostita, a dire di chi l’ha venduta, annacquata, a nostro parere.
Il nostro amico, dopo aver assaggiata la “prelibatezza” ed aver constatato che faceva veramente, ma veramente schifo, decideva di abbandonare quel fastidio su un’altra, incolpevole bancarella e nel successivo intento di liberare il proprio stomaco da simil detrito, emetteva un suono non ripetibile, al cospetto di un altrettanto incolpevole passante che proprio in quel momento si trovava nello stesso punto del centro storico in cui stazionavamo noi:
Era però un sacerdote.
A quel punto, non sapevamo se ridere o se piangere, l’unica cosa che ci è venuta spontanea, da veri vigliacchi, è stata quella di far finta di non conoscere il nostro amico che, nel frattempo, era diventato paonazzo per la vergogna.
Dopo questa prima prova di civiltà, visto che l’ora era quella più che giusta, decidevamo di rientrare alla base, (verso il pulman), per consumare la prima parte del sontuoso pranzo che avevamo portato al nostro seguito.
Visto che il tempo volgeva al brutto, (se così si può dire), prendevamo la decisione di accamparci sotto un porticato di un vicino condominio.
Là, alla stessa stregua dei peggiori barbari, cominciavamo a gozzovigliare, interrogandoci sul futuro prossimo e sulla riuscita della gita che avevamo arditamente e sconsideratamente voluto fare.
La pioggia aveva ripreso vigore, e si erano fatte le tre pomeridiane.
Noi però, avevamo fatto tanti chilometri e certo non potevamo restare ancora una volta fermi sulle nostre posizioni, anche perché dovevamo in qualche modo rientrare dei soldi spesi, acquistando ciò che ci serviva e, nei normali negozi, sarebbe costato dieci volte di più.
Così, senza perdere altro tempo, aperti gli ombrelli, c’incamminavamo per un secondo giro di perlustrazione e di caccia al risparmio.
Qualcosa troviamo, ma, nel risparmiare abbondantemente danaro, ci accorgiamo che l’impresa diventa via via sempre più titanica, visto l’aumentare dell’intensità della pioggia, e la quasi impraticabilità delle strade, divenute sempre più dei pantani infiniti.
Il disagio arriva al punto di farci decidere uno stop sotto un balcone sufficientemente ampio.
Il cielo era completamente chiuso, ma alle quattro in punto, ecco che sembrava iniziassero gli attesi fuochi d’artificio, con il colpo sparato per radunare gli spettatori:
E’ stato l’unico colpo esploso.
Indecisi sul da farsi, mentre pioveva che Dio la mandava ed i commercianti arrancavano nel loro lavoro, ecco che fra i venditori di ombrelli, ne spunta una tutta particolare.
Cabiria, la chiameremo così visto che si trattava di una extracomunitaria minorenne, sprizzava simpatia in tutti i sensi, ma allo stesso tempo, faceva notare tutta l’immaturità di gente che, venuta dall’Africa con chissà quali speranze, si ritrovava in Italia ed acquisiva gli stessi difetti e gli stessi pregiudizi di una gioventù che, abituata a non voler far niente, pensa di vivere alla giornata, magari stando seduta a guardare il televisore che offre contenuti sempre più non contenuti.
Dopo questa piacevole parentesi riflessiva, e dopo che avevamo acquistato un altro paio di ombrelli a prezzo concordato, (ovviamente non dalla nostra piccola amica, visto che non condividiamo il fatto che ragazzine di quindici anni vengano costrette dai propri genitori a lavorare in quelle condizioni), ripartivamo per continuare la nostra caccia all’affare, in condizioni sempre più proibitive.
Lo sparo, come detto, non si poteva fare, le bande musicali non potevano suonare, e le bancarelle, viste le condizioni meteo, stavano cominciando ad abbandonare il campo.
Volendo raggiungere ancora una volta la base per lasciare la merce acquistata, ci veniva l’idea di cercare una scorciatoria:
“Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa ciò che lascia, non sa ciò che trova”.
Mai proverbio così azzeccato.
Siamo riusciti a perderci in Adelfia!
Come Dio ha voluto, sotto il diluvio universale, dopo circa un’ora ritrovavamo la “Rotta Giusta” e rientravamo alla base.
Da quel momento io e mio padre decidevamo di non fare altre sortite, ma mio fratello e gli altri, complice il dover andare a farsi sostituire uno degli ombrelli che non faceva a pieno il proprio dovere, decidevano di tornare presso l’ombrellaio in questione, portando a termine con successo l’operazione.
Verso le diciannove, con tutti i passeggeri al pulman, vista la serata inconcludente, si decideva di rientrare a Gambatesa anche se, nel frattempo, le condizioni meteo volgevano al meglio e, dopo che in mattinata non era stato possibile far sfilare la processione in onore del Santo Patrono, la stessa veniva messa in atto.
Qui, qualche dissapore fra i componenti della combriccola, visto che, mentre chi era venuto in gita esclusivamente per lo sparo, (o fuochi d’artificio che dir si voglia), non avendo altri interessi voleva rientrare, si è dovuto contrapporre ad altri che, volendo fare la gita con spirito diverso, avrebbero preferito continuare la serata, mangiando e bevendo, così come accade normalmente.
Alla fine, si è deciso per la prima opzione e alle sette e un quarto, tutti a bordo e ripartenza.
Come detto, alle sette e venti, eravamo fuori di Adelfia, già sulla strada principale per il rientro.
Si è detto più volte delle difficoltà logistiche che restano irrisolte in questa festa.
Fra queste, la cronica mancanza di servizi igienici pubblici, accentuata dal fatto che non era possibile porre parziale rimedio al disagio utilizzando i campi agricoli di zona, visto che erano diventati degli acquitrini.
Fatto sta che dopo circa una mezz’ora dalla partenza, mi vedevo costretto a mettere in atto un vero e proprio dirottamento del pulman, con fastidio di alcuni astanti.
Va da sé che la vigliaccheria di costoro, si dimostrava a pieno quando, riuscito nel mio proposito, gli stessi infastiditi, come per altro il resto dei passeggeri, usufruivano dei vantaggi creati dal dirottamento, loro per primi.
Ripartiti, con il nostro gruppo saldamente acquartierato nella parte posteriore del mezzo che ci stava riportando a casa, si discuteva di ciò che non ci era piaciuto della gita del giorno, e si facevano i giusti proponimenti per quanto dovrà accadere il prossimo anno, quando la stessa passeggiata cadrà di sabato e sarà possibile organizzarci meglio, sia dal punto di vista enogastronomico, sia da quello musicale; insomma: avremmo l’intenzione di armarci di tutto punto di strumenti musicali e quant’altro di simile per rendere la giornata indimenticabile.
Bello è stato che, nel discutere, quindi nel far politica, lo si è fatto secondo lo schema proposto dagli antichi greci, (ho detto antichi):
Far politica a pancia piena e possibilmente un po’ brilli.
Così, Pasquale Tronca, (maccarunar), uno dei ragazzi della squadra, ha voluto offrirci un bicchiere del suo vino che, come il vino che ognuno di noi aveva con sé, era di produzione propria e per il consumo familiare, alla faccia dei politicanti che, proni di fronte all’Europa, pretenderebbero che le vigne, quelle vere, fossero estirpate per lasciare campo libero a chi, per esclusivo profitto, fa passare per vino, un liquame che sicuramente non ha mai conosciuto l’uva.
Alle dieci e un quarto l’arrivo.
Noi però, avevamo ancora una invidiabile riserva di viveri e di vino, per cui, all’unanimità, decidevamo che non era possibile rientrare nelle nostre case senza aver cenato e, così facendo, in un angolo di piazza Riccardo, stendevamo la tavola.
Nel mangiare si discuteva del più e del meno.
Teneva banco il tema del mancato sparo, per cui, alla fine del pasto, vuoi per la delusione che serpeggiava in riferimento all’argomento, vuoi per il fatto che il corpo ha le sue necessità, spontaneamente tutti, nessuno escluso, incominciavamo ad emulare i fuochi d’artificio, in maniera indicibile ed affidabile esclusivamente alla tua intelligenza, per quanto concerne modalità, tempi di reazione e quant’altro, hanno generato un così insperato ed indegno spettacolo.
La serata non poteva non finire con una capatina al bar di Salvatore a Ccett, vicino al luogo in cui ci eravamo esibiti.
Là, bevendo altre sei birre con la complicità del barista, tiravamo le fila della giornata appena trascorsa, considerando che, nonostante le avversità, alla fine ci eravamo comunque divertiti.
Andrà meglio il prossimo anno.