Di Maria Stella Rossi
Castel del Giudice, un paese di pochi abitanti- non si arriva ai quattrocento- oggi vive un suo specifico splendore che ha il sapore di buone idee e di valori cercati e spesi nella forza della ruralità vista non come limite ma come concreta possibilità di sviluppo e di crescita economico/ culturale che conservi e incentivi l’identità nella contemporaneità. Si potrebbe, allora, suggerire l’incipit del racconto di Castel del Giudice ( in provincia di Isernia) iniziandolo come una favola o come un sogno divenuto realtà.
C’era un tempo, siamo nel lontano 1700, in cui un luogo detto Tufi, dalla pietra di colorazione ocra, accoglieva greggi e rimesse agricole in stalle e fienili in pietra. Era una propaggine del paese dalla vocazione agricola e pastorale che negli Anni Cinquanta aveva vissuto il fenomeno dell’emigrazione lasciando nel paese ben pochi pastori-agricoltori. Alla fine degli anni Novanta veniva usata a Tufi una sola stalla che accoglieva un cavallo, l’ultimo solitario animale accudito dal suo proprietario. L’abbandono si impadronisce di questo sito -abitato un tempo da animali belanti e dalla voce forte dei contadini – sino a quando Lino Gentile, sindaco di Castel del Giudice, al suo terzo mandato, coglie la necessità di riqualificare e valorizzare il territorio dedicandosi con costante impegno a questa idea che diverrà nel giro di un decennio concretezza! Ancor prima del Bando, rivolto a soci privati, il sindaco condivide questa proposta con i suoi cittadini, oltre quaranta sono i proprietari dei fabbricati. Li chiama a raccolta nell’appena inaugurato centro R.S.A. ottenendo la quasi totale disponibilità a procedere. Siamo nel 2002, parte l’iter realizzativo non prima di aver proceduto al corretto e laborioso accatastamento degli immobili da riportare a nuova e altra vita. Il Progetto nasce sotto una buona stella che vedrà la sinergia sintonica tra Lino Gentile e i suoi cittadini e gli imprenditori Ermanno D’Andrea ed Enrico Ricci. Professionalità, attenzione al territorio con specifiche sensibilità e capacità progettuali sono gli ingredienti del mix vincente. Nel 2000 la D’Andrea S.p.A. aveva realizzato, sempre in località di Castel del Giudice, un’Azienda di meccanica di precisione, nota nel mondo, con la volontà di continuare con altri progetti indirizzati al recupero del paesaggio rurale. Lo Studio Ricci lavora all’impostazione tecnica della ricostruzione pensando a un Borgo- Albergo diffuso, comodo, dotato di una serie di servizi e tipologie fruibili, accoglienti e rispettose dell’habitat. La realizzazione di un semi-ipogeo- con ampio affaccio sul rasserenante panorama boschivo, per un ristorante dotato di Centro Benessere nel piano sottostante- pensato nei colori naturali della pietra, del legno, del ferro con aggiunta di lastre vetrate e con arredo disegnato in tono con la struttura, e quindi la realizzazione di due sale convegni “hanno dato la svolta giusta al Borgo” rendendolo non angusto ma proteso alla spazialità. Venticinque sono le unità abitative già ultimate, otto in corso d’opera, realizzate con maestranze che in un primo momento erano piuttosto scettiche, visto il degrado del luogo. Man mano che nel Borgo si procedeva con i lavori si riscopriva la sua antica/ nuova identità giocata su una progettualità di tipo medievale cioè con aggiusti e modifiche in corso d’opera, calati nella realtà palpitante del Borgo. Il riutilizzo di pietre, legni, coppi locali con altro materiale sempre in sintesi armoniosa con il contesto e gli arredi interni, di cui si è occupata Rosanna Donatelli, che ha eseguito a mano persino le tendine delle finestre e dei balconcini, raccontano nei dettagli la storia di una rinascita. Il Borgo Tufi, che ha già ospitato importanti convegni e incontri di riscontro nazionale come Gli Stati Generali delle Comunità dell’Appenino promosso da Slow Food con la collaborazione dalla Regione Molise, e la Scuola Estiva di Alta Formazione Filosofica di Napoli, ha aperto da poco i battenti ai visitatori che già numerosi sono giunti, nei mesi scorsi, anche dall’estero per visitarlo con passo e sguardo lenti in assonanza con lo spirito del luogo che inneggia, si potrebbe ben dire, ad una slow-life anche con il sostare a respirare il colore delle pietre e delle piccole aiuole fiorite che rigogliose crescono tra rocce affioranti. Un arredo studiato in ogni dettaglio è la nota dominante del Ristorante Albergo Diffuso, curato da due cuoche formatesi alla Scuola dell’affermato chef stellato Niko Romito, che prepareranno menu legati alla realtà locale con un’attenzione speciale per l’uso della mela in cucina. Ed è proprio la mela che ci porta ad aprire un altro capitolo scritto nelle Terre di Castel del Giudice parlando di Melise, mela biologica e pregiata la cui coltivazione, avviata negli Anni Novanta da un imprenditore di Padova – che aveva intuito la vocazione di questi territori per la coltivazione di meleti- è stata ripresa e sviluppata sempre da D’Andrea e Ricci con la partecipazione di piccole quote anche degli agricoltori del paese. I meleti attualmente contano centoventimila piante per quaranta ettari di campi. E se le vie del Borgo e la sua Piazza hanno nomi ispirati ad alcune specifiche tipologie di mele autoctone: Piazza Gelata, Via Limoncella, Via Zitella, Vicolo Piana, Vicolo Rosa, Via Cerina, bisogna necessariamente raggiungere il capannone in cui vengono depositate le mele e lì annusare a lungo il luogo e farsi avvolgere dal penetrante e dolce profumo di mele che si propaga tutt’intorno appena si varca il portone d’ingresso. Allora la memoria alla maniera proustiana ci fa tornare indietro nel tempo e rivivere le atmosfere care delle cantine ombrose dei nostri nonni. Se poi capita di incrociare il trattore guidato da Remo o da Simone- carico di luccicanti pomi rossi, dorati, rosati, appena colti- scortato da Melina, la cagnolina -trovatella color castagna che, come una staffetta accompagna con coda e orecchie al vento, tutti i viaggi dal meleto al capannone e viceversa, si ha la netta sensazione che il Buono, il Bello, il profumo della Terra, i Saperi antichi e attuali, qui esistono davvero e si possono assaporare.
(tratto dall’articolo pubblicato sulla rivista D’Abruzzo n. 112)