Di Vittorio Venditti
Si Può Parlare Ancora Di Sport?
Premessa. Oggi avrei dovuto parlare seriamente d’altro: Sono giusti vent’anni che la mia vita è cambiata per effetto del fatto che sono un diavolo che evidentemente non ha meritata quell’Angelo che quel giorno di giusti vent’anni fa, prese il volo per tornare fra le braccia dell’Eterno Padre: CIAO SIMMI’
Tornando a bomba. La farneticazione che segue, indegnamente sta partecipando al 4° Premio Pietro Fasolino su istigazione dell’organizzatore di tale concorso, nonché mio collaboratore, il giornalista Stefano Venditti. Sembrava che gli articoli dovessero essere inediti, per cui fino ad oggi ho evitato di pubblicare questo scritto; siccome l’embargo è stato frutto di un malinteso, ecco cosa mi è frullato per la testa, prima che arrivassi a concludere una decina di giorni fa con ciò che già hai potuto leggere qui.
In questi ultimi cinque anni, sono stato coinvolto sempre di più nello scrivere di sport e di conseguenza nel conoscerne il significato per chi lo pratica. Io no, non pratico sport e chi mi conosce lo vede dalla stazza. Ma è davvero la pigrizia, alla base di questa mia ritrosia nell’avvicinarmi a ciò che la maggior parte dell’umanità ritiene il toccasana per vivere meglio la propria vita?
Come detto, ne scrivo e qualche volta mi appassiono, invidiando chi magari arriva ultimo in classifica con la gioia e l’essere appagato, tipico di chi vince una gara. Mi sono ritrovato a fare il tifo per Campioni che gareggiano in sport dei quali non conoscevo fino al giorno prima, neppure l’esistenza. Poi, quando la passione iniziava ad impossessarsi del mio modo di vedere lo sport, ecco l’inghippo: Lo sportivo, per continuare ad esser tale, deve assoggettarsi al Dio Danaro; diversamente la gara finisce, senza se e senza ma.
Passi per il calcio, dove pur di assicurarsi soldi e considerazione, si arriva all’adulterio ed al rinnegare il futuro della propria costituenda famiglia, com’è accaduto a Gambatesa a fine duemilaquattordici, in un luogo che ha più squadre di calcio che abitanti e dove per partecipare a campionati di “eccellenza” si spende per iscriversi l’equivalente dell’anticipo per l’acquisto di un appartamento. Si tolleri che in formula uno, in ossequio al profitto, si arrivi ad estromettere un circuito come quello storico di Monza dai prossimi calendari, operazione che viene definita sportiva. Si guardi con occhio disattento quanto accade nel ciclismo, professionistico e non solo, dove il doping la fa da padrone, con conseguenze future non proprio benefiche per quei cosiddetti atleti. Ma credo che inizi ad essere poco tollerabile quanto accade ad esempio nel campo dell’equitazione molisana, dove un campione europeo e mondiale, per poter continuare la sua pratica sportiva senza svenare la famiglia, è costretto a cambiare regione, vendendosi a chi è più e meglio organizzato.
Si chiama ancora sport tutto questo?
Si può ancora far finta di niente, turandosi il naso in nome della convivenza e dell’amicizia?
Io e lo sport siamo agli antipodi e con tutto lo sforzo che posso fare, non riesco proprio a vedere questa “figura”. Non riesco a vederne i benefici per il corpo e per lo spirito. La mia vista è nulla per via della nebbia generata da danaro ed opportunismi che poi mi costringono a sfogarmi con scritti del genere, da presentare a chi, forse più sveglio di me, riesce a vedere ciò che per me è invisibile.
Allora, che dire: Pietro Fasolino fu persona da ricordare per lo sport; ma quale sport? Dov’è quello sport per il quale Fasolino ha dimostrato tutto il proprio amore?