Di Vittorio Venditti
Quando La Storia Patria Viene Letta Dai Miopi
Oggi si risveglia il Fascista che dorme in me; per cui, (e non poteva essere diversamente), Oggi, parlerò di quell’avvenimento da circo equestre, denominato “Marcia Su Roma”, preludio alla presa del potere di Benito Mussolini, atto risalente ad ottantanove anni fa.
Per inciso:
Il ritratto del Duce appena esposto, è l’unico che ho in archivio, per cui:
1°: Se sei in possesso di una foto migliore, t’invito ad inviarmela;
2°: Qualora a qualche “ben pensante” venisse la stupida idea di pensare che non voglio pubblicare foto più dettagliate del Duce per chissà qual atavica paura, sappia costui, che per me sarebbe un onore essere citato dal solerte magistrato, visto che:
“A”: Posto che costui lo facesse, prima di ricevere il suo comunicato, riuscirei tranquillamente ad arrivare a cent’anni e morire in pace;
“B”: Che se mai dovessi ricevere quel pezzo di carta, come tale verrà trattato, unitamente ad eventuali altri faldoni aperti in mio onore da chi, come spesso già detto, normalmente ruba il pane allo Stato e la giornata a Gesù Cristo.
In quanto Carta, Quella, Verrà Trattata Come Carta Igienica, la più scadente.
E Scusa Se E’ poco!
Tornando a bomba.
Il mio essere imparzialmente Fascista, mi obbliga a riportare quanto la Storia espressa nei filmati di regime ci narra inesorabilmente, cosa ovviamente messa a disposizione solo degli “storici”, non dell’intelligenza di chiunque.
Quanto preparato dalle sommosse seguite al malcontento generato dall’esaudire le mancate promesse, fatte ai combattenti della prima guerra mondiale, unite agli scioperi ed alle rivendicazioni operaie, fomentate dagli appena nati partiti comunisti, figli della rivoluzione russa, fu all’origine dell’impazienza, mostrata da un ceto medio, non più appagato dalle chiacchiere dei politici di allora, (chissà perché… mi viene da pensare ai nostri giorni).
Questa pastura, lanciata come esca da chi, forse in maniera azzardata, si considerò l’unica via d’uscita a tanto disordine, fu mangiata e poi mal digerita, da una classe dirigente stanca ed assonnata, che, forse per riposarsi da lavori mai ben fatti e portati a termine, lasciò fare, permettendo l’avvento di chi, nel bene o nel male, ha poi guidata la nostra bell’Italia, fino ad una disastrosa guerra, da cui, l’Italia stessa si è ripresa, defenestrando, in maniera normalmente ipocrita le figure in vista, ma tenendosi ben stretti, sia i reali promotori della catastrofe da cui stava rinascendo, sia quanto, in termini di leggi e benefit, i passati dirigenti, avevano creato.
Quel vent’otto ottobre millenovecento ventidue fu il giorno in cui, una massa di gente “incazzata”, munita di rudimentali e scalcinate divise, enfatizzate da una camicia nera, (chissà come rattoppata), a bordo di improbabili mezzi di fortuna, armata di qualche moschetto e di molti fucili da caccia, arrivava ad invadere Roma, quasi come se si trattasse degli attuali Indignati.
Anche allora c’era la “testa calda”;
Anche allora, c’era qualche carabiniere ligio al dovere;
Solo per questo fu contato qualche morto.
Allora non c’era la televisione, ed il popolino non era assuefatto a certe immagini, strane per il tempo.
Allora, a nessuno veniva la voglia di affrontare chi, forse a ragione, veniva considerato come il “necessario calmante” dei bollenti spiriti.
Se non fosse stato così, a Mazzetta, pardon! A Sua Maestà Re Vittorio Emanuele Terzo, sarebbe stato sufficiente schierare presso i sobborghi di Roma un battaglione dell’esercito italiano, (vittorioso, con i suoi cannoni di latta), e quella marmaglia di fessi in camicia nera, sarebbe stata dissolta nel nulla.
Invece, quella “marcia su Roma”, seguita da un treno che fra le carrozze accodate aveva un vagone letto proveniente da Milano, al cui interno una cuccetta conteneva il futuro Salvatore della Patria, quella stupida pacchianata, ancor oggi fa paura a chi, ipocritamente, dopo averne abbattuti i simboli portanti, ed averne depredati i contenuti utili in seguito, pensa di dover utilizzare quel simbolo per tenersi un potere raggiunto, forse proprio grazie agli insegnamenti acquisiti dai protagonisti dello spettacolo di cui sto farneticando.
Per gli Attori della prima repubblica, e del marasma che ne è seguito, bene è non parlare, ne avere musei che ricordano quella parte della Storia Patria.
Ciò, non perché, (come dicono loro), quello è il “male estremo da dimenticare”, ma perché, a mio avviso, (e non solo mio), riscoprire la Storia del Ventennio, significherebbe riaprire certi “armadi”, che potrebbero far impallidire anche il peggior satana.
Quante cose, azioni, invenzioni o leggi, prodotte dal fascismo, sono state acquisite dal nostro Stato Democratico?
Quanti personaggi della borghesia medio-alta, si sono riciclati, con la scusa che, senza di loro, la “Fragile Democrazia appena riconquistata”, sarebbe stata divorata dal perfido comunismo?
Quanti, di quei Comunisti, hanno maltrattato gli italiani costretti in guerra, per poi, a guerra finita, chiedere loro il voto, facendosi passare per loro salvatori?
Quanto, di quella gentaglia, ritroviamo, (come progenie), fra gli attuali parassiti, che ci stanno portando allo stesso livello raggiunto agli inizi degli anni venti del secolo scorso?
Chi, degli attuali altoborghesi, dobbiamo ringraziare, per il fatto che, dopo averci lasciata in eredità una tassa sulla benzina, utile a loro per vendere veicoli da usare per la guerra in Abissinia, oggi, pensa di lasciare l’Italia al suo destino, dopo averci venduta la stessa fabbrica per ben sette volte?
Vado avanti?
Meglio di no, anche perché mentre scrivo, mi sto accorgendo di offendere la tua intelligenza, unico mio vero cruccio.
Perché allora ci si ostina a non voler considerare parte della Storia Patria, anche quel tanto vituperato ventennio, da cui tutti hanno attinto, e che da tutti è rinnegato?
Forse… per paura di far crescere la coscienza degli italiani, liberi finalmente di distruggere quest’inutile palcoscenico, su cui si esibiscono ormai scialbe marionette?