Di Stefano Venditti
Un’oasi di legalità nel profondo sud, nel comune di Crotone, nel cuore dei territori gestiti dalla ’ndrangheta come baluardo contro il male più dirompente. Undici uomini e donne, tutti dipendenti della Telecom Italia, con al seguito i propri figli hanno deciso di accettare, per così dire, la sfida di trascorrere sette giorni di volontariato d’impresa e di vivere questa esperienza di lavoro e studio sulla legalità proposta da Libera.
Umanità varia, proveniente da ben undici regioni, ma determinata a dare il proprio contributo alla nobile causa di promuovere la legalità e la giustizia anche e soprattutto in quei territori che da sempre sono soggiogati dalla malvagità di alcuni che prevarica sulla generosità della gente del sud. Un confronto diretto con il male più assoluto che ha segnato profondamente gli animi e le coscienze di tutti coloro che sono giunti a Crotone. Li, in quei luoghi, in quell’angolo nascosto della Calabria di Isola di Capo Rizzuto l’associazione Libera insieme ad una cooperativa locale “Misericordia” gestisce i campi confiscati alla ’ndrangheta e in particolar modo quelli che erano sotto l’influenza del clan Arena. Dal dolore, dal male, dalla sofferenza è rinato il bene, la speranza in un futuro migliore e degno di essere vissuto da persone e non da schiavi. Con l’aiuto e il sostegno delle Istituzioni locali e delle Forze dell’ordine le giovani generazioni dei calabresi stanno alzando la testa per rimpadronirsi di un territorio e di una regione da troppo tempo bistrattata. Lo stanno facendo grazie all’impegno profuso da Libera e dai numerosi volontari che hanno sposato in pieno la sua filosofia di vita. Tra le persone che sono giunte fino a Isola di Capo Rizzuto c’erano anche due campobassani che hanno preso parte al bando istituito dalla Fondazione Telecom Italia che ogni hanno sostiene un’iniziativa meritoria in campo sociale. Adele Mastropaolo e suo figlio Angelo Ricchetti hanno trascorso una settimana a ripulire un campo d’orzo dalle piante infestanti per prepararlo alla mietitura stagionale per il raccolto che andrà a strutturarsi nella produzione di caffè d’orzo che è il principale prodotto che dovrà assicurare un futuro anche lavorativo alle giovani generazioni che vorranno trasferirsi in questi incantati ma vessati luoghi. «Non immaginavo che io e mio figlio potessimo essere scelti nella miriade di domande che sono pervenute alla Fondazione Telecom Italia. Avevo inoltrato la domanda perché fortemente convinta di fare questa esperienza – ha rimarcato Adele Mastropaolo – e di conoscere da vicino le realtà colpite dalla piaga delle mafie. Un’esperienza che ci ha cambiato e fatto maturare anche e soprattutto per la vicinanza anche di Don Ciotti e di tutti coloro che da sempre portano con orgoglio e coraggio il vessillo della legalità e della giustizia nelle terre di mafia. Abbiamo lavorato insieme, abbiamo mangiato e dormito tutti insieme, abbiamo condiviso tutto anche emozioni indescrivibili. Era questo, fondamentalmente l’obiettivo dell’iniziativa. Tra le cose che io e mio figlio ci porteremo sempre nel cuore c’è la compostezza e l’orgoglio di una coppia di Reggio Calabria. Le lacrime di Enza, moglie di Tiberio Bentivoglio, quando ci ha raccontato del suo desiderio di far tornare il proprio negozio come era una volta, perché i suoi figli possano continuare a vivere con dignità e normalità, malgrado gli attentati, le bombe e le pallottole ricevute dal marito, pesanti e dure come l’indifferenza, sono rimaste impresse in maniera indelebile nelle nostre menti. Momenti particolari che, però, hanno visto il rovescio della medaglia nella presentazione del primo prodotto, il caffè d’orzo, che è stato realizzato e confezionato dopo la confisca del campo a Crotone. Il risultato è stato ottenuto a seguito della mietitura dello scorso anno che per la prima volta ha visto Isola di Capo Rizzuto e il Centro di Educazione Legalità e Ambiente cambiare volto ad una zona che aveva come scopo primario quello di foraggiare l’attività illecita del clan Arena – ha concluso la Mastropaolo -».