Di Stefano Venditti
Alfredo Carosella, architetto originario di Campobasso, racconta la propria esperienza in un romanzo intitolato “Sono nato quando mi hai preso in braccio”
Sono nato quando mi hai preso in braccio, è un romanzo a sfondo sociale che racconta una storia vera. Una storia che ha tra i suoi protagonisti un giovane architetto originario di Campobasso ma residente ormai da anni a Portici. Una storia che vede il confronto diretto e crudo tra la voglia di paternità e le difficoltà burocratiche che si celano dietro un’adozione internazionale. Un libro che, però, oltre che raccontare la personale esperienza dell’architetto Carosella e di sua moglie, vuole anche porre una grande lente d’ingrandimento su di un mondo di cui, forse, non si hanno notizie e informazioni a sufficienza.
«Ho deciso di scrivere questo libro sotto la forma di un romanzo a seguito della mia personale esperienza. Ho dovuto attendere ben nove anni per poter stringere tra le mie mani un bambino. Ma andiamo con ordine. A seguito delle difficoltà che ho dovuto superare per poter concretizzare il mio desiderio di paternità – ha affermato Alfredo Carosella – è nata in me l’idea di scrivere un libro che potesse far luce su di un universo che, forse, si conosce ancora troppo poco. Il mio più grande sogno era quello della paternità biologica e adottiva e per fortuna sono riuscito a concretizzarle entrambe. Desideri che, però, nella realtà si sono dovuti brutalmente confrontare con la burocrazia sia italiana sia straniera. Circa nove anni fa inoltrammo la nostra prima domanda di adozione per un bambino italiano. La domanda, però, fu respinta dal tribunale dei minori di Napoli a causa del fatto che mia moglie era incinta ed aspettava una bambina. La motivazione che ci fu addotta fu quella che in Italia ci sono troppo pochi bambini da adottare e si predilige di affidarli a coppie senza figli. Questa che ci apparve come una vera e propria sentenza distruttiva che ci colse di sorpresa anche perché – ha ribadito Carosella – la legge
sull’adozione ribadisce che si deve dare una famiglia ad un minore e non un minore ad una famiglia. Così, con nostro grande dispiacere, anche consigliati dall’associazione riconosciuta dal Ministero alla quale ci eravamo rivolti, optammo per un’adozione internazionale e più precisamente
per un bambino del Vietnam visto che in quel paese c’era la possibilità di essere affidatari di un bambino molto piccolo. Così, dopo mille difficoltà, ed esclusivamente supportati da una tenacia nel perseguire il mio sogno, riuscimmo ad essere abbinati, questo è il termine che viene usato in Vietnam, nel settembre del 2010 ad un bambino di 8 mesi. Dopo aver atteso altri cinque mesi partimmo per il Vietnam dove rimanemmo per tre settimane prima di far rientro in Italia con il nostro bambino. Il bambino viveva all’interno di un orfanotrofio insieme ad altri nascituri che erano
sistemati in una grande stanza in tre in una culla perché non avevano spazio a sufficienza per tutti. A quel punto mi sono chiesto come mai ci avevano fatto attendere tanto tempo vista la situazione di estrema emergenza in cui versavano i neonati. Sbrigate le pratiche burocratiche prendemmo parte ad una cerimonia alquanto strana e stravagante che si svolse all’interno del palazzo della Provincia. Del dare e del ricevere, questo il titolo della cerimonia, consiste nel fatto che i funzionari vietnamiti consegnano il bambino alla famiglia richiedente, mentre la famiglia porta in dono al paese alcuni regali tipici provenienti dal proprio paese d’origine. Ci è sembrato alquanto strano dover presenziare a quello che a tutti gli effetti sembrava un baratto – ha sottolineato Carosella – ma lo abbiamo fatto di buon grado pur di avere nostro figlio. Una volta tornati in Italia il bambino ha dormito per ben 11 ore di filato, probabilmente a causa del forte stress e per l’emozione. Dopo ventiquattro ore, grazie anche al fatto che io e mia moglie, nonché nostra figlia continuamente giocavamo con lui e gli dicevamo le prime parole in italiano, ci chiamò subito mamma e papà. Una emozione indescrivibile! Malgrado il bambino abbia il mio cognome e sia inserito nel mio stato di famiglia solo da poco è mio figlio a tutti gli effetti per la legge italiana. Nell’ambito delle adozioni internazionali, infatti, deve trascorrere ancora un ulteriore periodo di prova , per così dire, definito affido pre adottivo. Per fortuna questo periodo è scaduto in aprile così finalmente abbiamo potuto festeggiare in tutto e per tutto la nostra famiglia composta da me, mia moglie, mia figlia e mio figlio. Questa in sintesi la mia esperienza vissuta tra una attesa infinita e continui patemi d’animo. Ma il libro, oltre ad avere una struttura di romanzo, vuole essere anche uno strumento attraverso il quale poter far luce su tutte quelle problematiche, su tutti gli aspetti negativi che, volendo o no, sono collegati all’iter adottivo. Nel libro, infatti, ci sono anche notizie utili e pratiche, statistiche, consigli per tutti coloro che vorranno intraprendere la nostra stessa scelta di vita. In diversi momenti lo sconforto può essere più forte della voglia di diventare papà o mamma ed è per questo che nel libro si potranno trovare degli spunti interessanti di riflessione. Per esempio, nel gruppo di coppie con il quale iniziammo il nostro cammino nove anni fa – ha evidenziato Carosella – una coppia decise di rassegnare il mandato visto che le lungaggini burocratiche sembravano essere infinite e dopo che, tra le altre cose, provarono anche a farci cambiare nazione per tentare di accelerare la procedura. Il problema sapete qual è? Se devi cambiare paese devi riformulare tutta la documentazione di supporto alla pratica perché ogni paese ha le sue procedure da seguire che non sono univoche per tutte le nazioni. Sono venuto a conoscenza per esempio, che in Ucraina devi andare tre volte prima di poter adottare un bambino. La prima per vedere il bambino, la seconda per sbrigare alcune procedure, la terza per prendere fisicamente il bambino. In alcuni paesi africani, inoltre, si deve soggiornare per non meno di tre mesi nel luogo di origine del bambino prima di tornare in Italia. Almeno questo è l’iter che deve seguire una persona comune come il sottoscritto. Diverso è, invece, se ad adottare un bambino è una persona famosa. Nel libro, per esempio, racconto il caso della cantante Madonna che grazie ad una cospicua somma lasciata in Africa, si parla di tre milioni di dollari, ha potuto adottare un bambino in un solo giorno. Sono proprio questi episodi, questi atteggiamenti, che ho voluto stigmatizzare nel mio libro e rendere pubblici e porli all’attenzione del maggior numero possibile di lettori. Altro aspetto che va fortemente denunciato è la cosiddetta vendita dei bambini visto solo come merce per far soldi.
Inoltre – ha spiegato Alfredo Carosella – il Vietnam e il Nepal da quest’anno hanno deciso di chiudere parzialmente le frontiere ed aderire, nel contempo, alla convenzione Aia che prevede che i bambini debbano soggiornare per non meno di due anni in un orfanotrofio statale per tentare il più possibile di far adottare i bambini da famiglie del luogo. Un principio che, secondo logica, è mirabile ed auspicabile, ma nella realtà non è così viste le condizioni di vita e di ristrettezze che abbiamo potuto appurare noi di persona. Con questo provvedimento si costringe i bambini a due anni di carcere inutile invece di essere inseriti al più presto in un contesto familiare sano».