Di Marco Frosali
(Premessa), Di Vittorio Venditti
Grazie al contributo di Marco, oggi mi onoro di poter aprire una rubrica che, se da una parte vuole premiare anche te che ami leggere poesie inedite, magari provenienti non dal nostro solito ambiente, dall’altra vuole sfidare il luogo comune, secondo il quale la Cultura, specialmente se proposta in rete, non fa salire i contatori delle visite.
Sicuro invece del fatto che il contatore salirà come e meglio del solito, lascio spazio a Marco ed al suo illustre ospite:
Donato paladino.
Le Poesie Del Signor Donato
Ormai è risaputo in tutto il mondo che noi Italiani, siamo un popolo di Santi, navigatori, inventori, musicisti, pittori, scultori e scrittori.
Ma, in modo particolare, di poeti.
Alcuni molto conosciuti, altri meno…. altri invece, famosi a livello di quartiere, contrada o paese e in ambito familiare, o perchè non hanno avuto fortuna, oppure perchè hanno avuto la loro fortuna nella forza della semplicità.
E proprio ‘la forza della semplicità’ è il titolo di una piccola raccolta di poesie di un Autore sconosciuto, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente durante i 3 anni di permanenza a Montefiascone (Viterbo) e che voglio far apprezzare anche a te che leggi: il Signor Donato Paladino, classe 1929.
Una vita di duro lavoro e sacrificio, dedicata alla famiglia e allietata dalle sue 3 passioni: la caccia, la vigna e le poesie.
Poesie scritte in un linguaggio semplice e genuino che fanno riferimento ad episodi realmente accaduti durante la vita di Donato, oltre che a piccoli aneddoti, fino a giungere alla attuale situazione politica in Italia.
Ecco un piccolo assaggio di quattro, di queste Poesie, sparse qua e là, fra gli altri articoli.
Le riconoscerai a prima vista, perché avranno sempre lo stesso primo titolo:
Versi Dalla Tuscia.
Di seguito la prima:
La squadra dei cacciatori lepraioli di Fastello
Gli anni della caccia più belli,
Dal millenovecentosessanta all’ottanta.
Eravamo sette, brutti e belli,
La voglia di cacciar era tanta,
S’amavamo come fratelli,
Non di l’ cacciator s’ avanta,
A cacciar qualch’ animale se pijava
Ognun di noi più s’appassionava.
Se dicìa la zon do’ se cacciava,
Se fissava l’appuntamento,
Chi arrivava prima aspettava,
Arrivate tutte e ognuno era contento,
Sciojeve l’ cane e andave a passo lento,
I cani la pastura hanno trovato,
Venia un cerchio subito formato.
La speranza che venìa scovato,
Lo scuccià dei cani ch’aumentava,
Co’ l’occhio teso e fucile imbracciato,
Qualche cane sicuro che lo scovava,
Da un l’altro veniva ammazzato,
Era a gara a chi prima tirava,
La giornata o brutta o bella,
A quei tempi era rara la padella.
Questa nun è cosa novella,
Tutti i cacciatori c’e le sanno,
Chiamiamola cosi’ sta brigoncella,
Che più chi meno prima o poi la fanno
Ogni volta è sempre la più bella,
Lo sanno che i cacciator porta danno,
Pur facendo mille torti,
Co’ la padella c’hanno buoni rapporti.
Erono tutti giovani e forti,
Da cacciar sempre pien di fantasìa,
Da Fastello fino all’Acquaforte,
Poi a piedi fino alla Benesìa,
Calando in quelle valli assai ritorte,
Cacciata faticosa, verità e non bucìa.
Dopo cacciate tutte queste ore,
A casa selvaggina pien di valore.
Quando eravamo giovani cacciatori,
Se girava pe’ la campagna aperta,
Più d’un bravo frate cercatore,
Per la campagna che sentivi esperta,
qua e là giorno o notte a tutte l’ore,
Pe’ scovà la selvaggina stae all’erta,
La vista bona, e pronte le riflesse,
L’ soprannome era le ‘esse-esse’.
In questo mondo non c’è rosa senza spine,
Ogni cosa c’ha l’ su fine.