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Etica Ed Umanizzazione Delle Cure

Di Antonio Chiatto

Relatori: al centro il Direttore Zappia

“Etica ed umanizzazione delle Cure” è stato il tema dell’incontro promosso, mercoledì 6 maggio, dalla Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II”.

Direttore Generale Mario Zappia

Il Direttore Generale e Sanitario, dottor Mario Zappia, nell’introdurre i lavori ha ricordato che è quella del Medico e dell’operatore sanitario è una vera e propria vocazione al servizio dei Fratelli che vivono l’esperienza della malattia. L’evento si inserisce nel programma di formazione etica e spirituale promosso dalla Fondazione in linea con i principi cristiani che ispirano l’Istituzione.

Mons Andrea Manto

Monsignor Andrea Manto, Direttore del Centro di Pastorale Sanitaria della Diocesi di Roma e già Direttore Nazionale dell’Ufficio di Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana ha svolto una appassionata relazione.

“La parola umanizzazione in sanità va declinata negli aspetti della qualità, della condivisione e della spiritualità, intesa prima di tutto come ricerca di una dimensione di verità e di senso nella malattia e nell’atto medico. Senza queste tre dimensioni nel suo insieme non può esserci vera e duratura umanizzazione” ha sottolineato Mons. Manto.

L’ospedale, e più in generale ogni struttura o realtà deputata a fornire assistenza e cura devono configurarsi sempre più come una comunità che “accoglie e si prende cura” in maniera condivisa della persona malata, per non lasciare solo il malato e la sua famiglia nei momenti di maggiore fragilità.
L’umanizzazione delle cure vive e si nutre della parola, della narrazione, del racconto che il paziente fa di sé e della propria malattia. Lo spazio della narrazione in medicina è un’occasione preziosissima che non disperde energie ma, anzi le economizza, le ottimizza perché permette una comprensione che evita la dispersione degli elementi dell’anamnesi.
Raccontare e ascoltare significa “comprendere” nel senso di “mettere insieme”. E questo non permette soltanto di guardare l’uomo al posto dell’organo ma significa avere la capacità di armonizzare e sintetizzare le informazioni di quel racconto, farle interagire con il sapere medico e restituirle come in un mosaico evitando dispersioni anche nelle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche. Significa favorire un’adesione alla terapia che diventa frutto di un patto di fiducia, di un’alleanza che solo l’ascolto e l’empatia può garantire.
Significa evitare che 10 miliardi di euro ogni anno, circa lo 0,75% del pil e il 10% circa del Fondo Sanitario Nazionale venga impiegato per difendersi da contenziosi legali (Fonte: Commissione di inchiesta parlamentare sugli errori sanitari).

Come agisce un farmaco noi per alcuni versi lo sappiamo. Il suo percorso chimico e fisico in linea di massima lo conosciamo. La sua farmacocinetica ci è nota. Ciò che non controlliamo è il contesto terapeutico, è la compliance, è tutto ciò che non sappiamo di un paziente e che a nostra insaputa interagisce con la terapia che gli prescriviamo.
È questa la sfida della medicina. Provare a rovesciare il tempo a pensarlo “umanizzato” a non inquadrarlo in un tariffario perché se il tempo prestato a un paziente non è sufficiente quel tempo sarà inevitabilmente ripetuto, e sempre in maniera insufficiente, in altri ambulatori con il risultato di una tariffa moltiplicata per il cittadino e per il Servizio Sanitario Nazionale.
Rovesciare la clessidra a favore del paziente significa rovesciarla a favore della medicina e della Sanità.

Della medicina perché impara ciò che solo le realtà individuali dei pazienti dicono sulla loro biologia anche quando parlano di se stessi. Impara quanto ogni storia personale pesa sulla storia naturale della malattia, impara ciò che in nessun manuale di patologia sta scritto e che però è imprescindibile in ogni atto che vuol definirsi terapeutico.
E della sanità perché un sistema sanitario che sancisce un’alleanza con il paziente è un sistema sanitario più forte perché se ha la fiducia del paziente può concentrare le sue energie sulla terapia che diventa un patto tra medico, paziente e sistema sanitario.
I risultati, come tutti i risultati importanti non sono immediati. I risultati immediati ci attraggono perché sono spendibili e, in una società come la nostra, soprattutto sono immediatamente comunicabili, spendibili, che sembra oggi l’obiettivo più ambito: comunicare, velocemente e con effetto.

Ma se la comunicazione rimane un fine nobile e essenziale ancora più essenziale e nobile è avere il coraggio di lavorare per sforzarsi di comunicare cose che non danno una facile e immediata visibilità ma che cambiano una cultura e uno spazio umano che poi cambia radicalmente e sostanzialmente le cose, predispone le condizioni per un rinnovamento profondo, reale.

Non c’è patto, né atto medico che possa prescindere da una visione etica che mette il paziente al centro e tutto il resto a servizio della sua cura e di questo fanno parte tempo e ascolto. La medicina quando pretende di curare non può fare a meno di questa visione in cui il tempo e lo spazio per l’ascolto del paziente, l’empatia che non collude, ma affianca e assiste e nutre di consapevolezza la cura è tutto ciò con cui possiamo misurare l’umanità della medicina, la più imperfetta e umana delle scienze.

Sono intervenuti anche don Fabio Di Tommaso, Direttore della Pastorale della Salute della Diocesi di Campobasso e Fra Umberto Panipucci, Cappellano della Fondazione.