Di Stefano Venditti
(Foto), Di Antonio Masiello, (Kosovo E Libano) E Lorenzo Peluso, (Afghanistan)
In 12 mesi raccontati gli scenari del Kosovo, per ben due volte, del Libano e dell’Afghanistan
Da giornalista locale ad inviata di guerra
La storia di Daniela Lombardi al fianco delle Forze Armate italiane
L’inviato di guerra è, forse, una delle scelte più coraggiose ed audaci che un giornalista possa fare. Un mestiere che diventa quasi una missione. Una voglia di raccontare cosa succede nel mondo ai margini di un conflitto o, come nel caso della giornalista campobassana Daniela Lombardi, a stretto contatto con gli uomini delle Forze Armate italiane che, quotidianamente, svolgono il proprio dovere in diverse aree del Pianeta.
Una passione che si tramuta in vera e propria ragione di vita che ti proietta in una dimensione superiore, vale a dire nel ruolo di cronista della storia moderna e dei suoi continui conflitti a fuoco. In una delle sue rare pause tra un viaggio ed un altro abbiamo incontrato Daniela Lombardi in una calda giornata estiva al centro di Campobasso, la sua città natale.
Quando hai deciso di intraprendere la carriera di inviata di guerra?
Ho avuto da sempre il pallino di raccontare tutto ciò che accadeva in ambito estero e nei vari scenari di guerra in lungo e in largo per il Mondo. Dopo varie esperienze maturate in alcune redazioni in Molise, dove mi occupavo di tutto fuorché di ciò che mi piaceva veramente, decisi nel 2004 di fare un viaggio come free lance in Israele e Giordania e raccontare il mio viaggio in un reportage che proposi a diverse testate giornalistiche nazionali. Con mia grande sorpresa i miei reportage furono pubblicati e così iniziai a capire che il mio sogno forse utopistico, quasi come dire vorrei fare l’attore a Hollywood, poteva trasformarsi in realtà
Da sogno a realtà, quale è stata la chiave di svolta?
Sono stati due i momenti chiave della mia nuova carriera di giornalista. Il primo nel 2011 quando scrissi un libro su Alessandro Di Lisio intitolato “Ti prometto che torno”, il parà della Folgore molisano morto in Afghanistan nel 2009. Da quella esperienza, che mi permise anche di conoscere meglio i paracadutisti italiani compagni di Alessandro, ne uscii ancor più convinta che la mia vita professionale doveva indirizzarsi verso questo settore specifico dell’informazione. L’altro coincide con il 2013 quando decisi di rispondere al bando promosso dal Ministero della Difesa italiano per l’organizzazione di un corso specifico proprio per inviati di guerra
Da Campobasso a Roma per un corso di inviato di guerra, il salto è stato notevole!
Direi, anche perché il corso ti permette di comprendere realmente quale sia davvero il tuo ruolo e quali siano le tue responsabilità come cronista embedded, vale a dire schierato al fianco delle Forze Armate italiane. Dopo il corso che si è svolto a Roma, che consisteva in esercitazioni pratiche tra le altre di sparatorie e simulazioni di rapimenti simile a quelli effettuati dai militari ma in maniera molto più concisa, ho dato la mia piena disponibilità a seguire i militari italiani nei vari scenari di guerra
E poi quando è avvenuto il tuo primo viaggio?
Subito dopo la fine del corso sono stata chiamata per andare per ben due volte in Kosovo, una volta in Libano e una in Afghanistan. In tutte le missioni sono stata sul posto per circa una decina di giorni.
In Kosovo, dove la situazione è molto più tranquilla con me c’erano degli accompagnatori, in Libano e in Afghanistan, scenari ancora caldi, ero sotto scorta militare
La vita di un inviato di guerra sul posto prescelto come si articola
Vivi a stretto contatto con le Forze Armate italiane durante le loro missioni e nei momenti quotidiani all’interno delle basi. Vivi le stesse emozioni dei militari visto che trascorri con loro tutto l’arco della giornata. Mi ricordo che in Libano ho preso parte, tra le altre, ad un pattugliamento sulla Blu Line, mentre in Afghanistan quello che mi è rimasto più nel cuore è un pattugliamento in un villaggio. Ambedue le uscite sono state effettuate su dei Lince italiani. Sul posto, poi, devi essere brava a ritagliarti dei momenti dove sei più tranquilla per poter scrivere i tuoi pezzi da inviare in Italia. Preferisco scriverli direttamente sul posto perché così riesco meglio a far comprendere ai lettori del quotidiano l’Avvenire o del quotidiano online The Post internazionale quale sia lo stato d’animo sia dei civili sia dei soldati coinvolti a vario titolo nel conflitto che sto seguendo
Come ti prepari prima di un viaggio?
A dire il vero hai un preavviso molto ravvicinato alla partenza. Ovviamente studi bene il paese di arrivo e lo sviluppo del conflitto, ma è altrettanto vero che ogni viaggio è diverso e ad ogni viaggio trovi una situazione differente dalla precedente. Da questo punto di vista fondamentale è il supporto delle Forze Armate italiane che prima della partenza cercano di fissare degli incontri con personaggi di spicco del posto. Poi, se ne senti la necessità, puoi anche richiedere delle interviste specifiche al di fuori, per così dire, del programma stilato dalle Forze Armate italiane
Hai mai vissuto dei momenti di paura nei tuoi viaggi?
Veri e propri momenti di tensione no, anche se in scenari come quelli dell’Afghanistan devi stare sempre con gli occhi aperti! Però ricordo che in uno dei pattugliamenti proprio in Afghanistan nel giorno in cui si festeggiava la cacciata dei russi dal Paese, in una stradina secondaria in lontananza si era percepito un luccichio nei pressi di una casa diroccata. Memore delle parole di Alessandro Di Lisio che prima di morire vide un po’ di terra smossa non nascondo di aver avuto un po’ di paura. Sugli scenari di guerra devi stare attento anche ai più piccoli particolari, come ad esempio una pietra spostata o ad un piccolo cumulo di terra. Per fortuna, poi, quel luccichio si è rivelato solo un bottone metallico, ma vi assicuro che l’adrenalina era salita a mille!
La tua famiglia come ha preso la tua decisione?
Ora come ora si è rassegnata, ma all’inizio non è stato facile. Figuratevi che ho detto ai miei, per esempio del mio viaggio in Afghanistan, solo dopo essere ritornata a casa per non farli preoccupare troppo. Adesso non mi credono più quando dico che vado in un posto, pensano sempre che debba partire per l’ennesima missione. Comunque, grazie al supporto delle Forze Armate italiane, il mio lavoro è più che sicuro. Oltre a fornirmi di tutta l’attrezzatura per la mia difesa personale come giubbotto antiproiettile ed elmetto, si assicurano sempre che tutto vada liscio. La mia sicurezza è nelle loro mani e mai mi sognerei di mettere in pericolo di vita uno dei militari che mi accompagnano. Con loro si è stretto un perfetto rapporto di reciproca stima e fiducia che mai mi sognerei di rompere
Oltre a scrivere i tuoi pezzi ti occupi anche di scattare le fotografie, ma come è cambiata la figura dell’inviato di guerra?
E’ cambiata tanto, anche perché oggi come oggi sono poche le testate che hanno un proprio inviato di guerra. La maggior parte delle pagine estere e degli scenari di guerra sono scritte grazie ai lanci di agenzia. E’ tutta una questione di costi che, spesso, le testate non riescono a gestire
La tua vita in poco meno di un anno è cambiata radicalmente, ma quali sono i tuoi prossimi obiettivi professionali?
Mi piacerebbe tornare nuovamente in Israele e sulla striscia di Gaza ed anche in Afghanistan. Altra idea che mi frulla nella testa da un po’ di tempo è quella di realizzare un reportage sul fronte dell’immigrazione. Vorrei andare sia a Lampedusa sia, se possibile, sui fronti più caldi del continente africano per raccontare in prima persona il dramma umano e sociale di tante persone. Vorrei anche essere al fianco della Marina Militare per avere una visione più diretta della missione denominata “Mare Nostrum”. Di idee in testa ne ho tante e mi auguro di poterle realizzare tutte. Magari al ritorno dal mio prossimo viaggio ci rincontreremo e vi racconterò altri aspetti di questo mestiere ed altre storie legate ai posti che visiterò in futuro