Di Luisa Martiniello
Ediemme-Cronache Italiane Salerno, 2014
Con la consueta perizia a cui ci ha abituati, Antonio Crecchia ci propone un’altra monografia e ritorna a parlare dell’amicoVincenzo Rossi, scomparso il 6 novembre 2013, di cui ci preannuncia che altro c’è da dire e si dovrà doverosamente dire. Sì, perché Rossi era poliedrico, instancabile pensatore, che con la sua coerenza ideologica fa rimpiangere tempi in cui una stretta di mano sanciva patti inscindibili, l’onore non era in discussione, la rettitudine era nella scala dei valori che tutti un poco alla volta hanno visto svilire.
Crecchia mette in risalto il senso profondo della libertà di pensiero, l’analisi e demolizione dei falsi miti, la riflessione amara di fronte alle devianze e alla immoralità politica dell’oggi e a supporto trascrive
qualche citazione: “ Il mondo è tanto perverso che gli scriccioli predano dove non oserebbero le aquile”.
È con commozione che rileggo il nome di mio padre tra i numerosi “amici”.
Ricordo la corrispondenza che li legava con Orazio Tanelli.
Crecchia mette in risalto lo studioso “avido di sapere” che persevera nella missione
educativa della parola, “segno ed espressione di civiltà, di cultura che promuove il progresso morale, spirituale ed economico dei popoli…. Perpetuazione di convinzioni e valori che regolano i processi vitali della storia …” Lo scrittore protegge la sua “fuga da questa sporca e violenta civiltà” nella fortezza della sua solitudine, che non è un rifugio di barriera, ma necessaria scelta per la sofferta meditazione sul destino umano, rendendo più chiara la visione rousseauiana “della bontà della natura e dell’uomo ad essa correlato nell’esercizio delle proprie attività di lavoratore e regolatore della terra”, perché figlio della terra molisana
di cui conosce i ritmi, i sapori, gli odori, le ferite, il sudore. Crecchia rimarca la presenza assidua nella scrittura di Rossi degli animali, il suo amore per tutte le forme viventi con le quali intesse relazioni d’affetto e armonia, ne apprezza l’alterità e l’equilibrio e cita a riguardo l’esempio del gallo che per Rossi è capace di “occupare il cuore”, distrarre dalla tristezza e dal dolore e donare “una scossa rigenerante” al corpo e allo spirito.
Rossi è presentato anche come cultore della storia della filosofia, per aver riproposto la maieutica socratica come “stimolatrice di ricerca interiore”, al fine di riappropriarsi di quei valori che rendono liberi pensatori. Non si può ignorare la sua ricerca dell’Essere: “L’uomo autentico vive sempre nella coscienza della morte, che è il senso vivo della precarietà dell’esistenza. ….Per lungo tempo vivo nello spavento della mia nullità. Che sono io di fronte all’inconcepibile potenza inventivo/creativa dell’Autore dell’Universo? Come posso io immaginare l’infinita intelligenza creativa di quest’armonia del mio corpo immerso nella sconfinata armonia dell’Universo?” Il dubbio genera approfondimenti, ulteriore ricerca, altre domande e risposte: l’uomo vive nella possibilità o nella necessità? Se l’uomo è necessità non può assolutamente salvarsi. Soltanto Dio che ha a disposizione infinite possibilità può scendere a salvarlo. Il filosofo cede gradualmente al credente. L’ansia di sapere lo porta ad affermare che l’artista non può concedersi nessuna distrazione, neppure un’ora di conversazione con un amico, perché altrimenti sacrifica un fatto reale per qualcosa di inesistente, inutile e forse di noia, anche se, come ben appunta Crecchia, la conversazione di fatto costituiva un arricchimento culturale tra amici. Non si può negare la sintesi a cui è giunto: “Il vero artista è appagato, compensato da ciò cui egli dà forma e suono, sostanza di
nuovi sensi”.