Di Fabrizio Fabbrini
L’episodio di Canne è certamente decisivo nella storia del mondo occidentale, anche se in un senso lievemente diverso da quello che la storiografia ha percepito. Per intenderlo occorre uscire per qualche istante da problemi di tattica o di posizionamento geografico – pur estremamente interessanti – e vederne il prima e il dopo, immediati e più lontani, come ha tentato nella sua densa e lunga sintesi Arnold Toynbee in Hannibal’s Legacy, uno dei suoi capolavori.
Annibale è come Alessandro uno di quei personaggi la cui storia fattuale ha sapore di mito, elevando i fatti e le persone a un livello ritenuto quasi impossibile.
Le doti militari di Annibale
Se ancora si studia la sua tattica campale nelle accademie militari, ciò significa pur qualcosa: le sue battaglie sono un capolavoro, che risponde a un preciso progetto realizzato in tutti i dettagli nei tempi previsti e con la disposizione assegnata. Egli ci ha mostrato queste cose:
– come in battaglia non conti il numero dei partecipanti, avendo egli manovrato contro forze superiori del doppio, cui fece subire una disfatta che in termini di perdite non ha confronti nella storia. La si è avvicinata solo la battaglia di Arausio in Provenza (ove il 6 ott. 105 a.C. i Cimbri sconfissero i romani che ebbero 100.000 perdite) ma il confronto non regge perché l’irruzione dei Cimbri si presenta come un cataclisma barbarico, mentre qui la disposizione tattica è pensata con la precisione di una partita a scacchi. Il cimbro Boiorix non era certo un Annibale!
– come in battaglia non conti neppure il valore dei singoli combattenti, avendo saputo egli utilizzare forze diverse, vecchi veterani (disposti per l’assalto finale) come gruppi alleati spagnoli e celti che la sera si riempivano di cervogia (come accadrà ai celti dell’infelice Asdrubale sul Metauro): egli sapeva utilizzare le persone per quello che esse potevano dare, schierandole in modo che anche i difetti divenivano virtù.
– come non contino gli armamenti: non più gli elefanti della Trebbia o di Zama, utilizzati secondo la tradizione ellenistica dei Diadochi (Pirro in Italia); né la falange compatta tebana o quella obliqua macedone, né l’ordine serrato oplitico come in Varrone alla Trebbia o a Canne, né la qualità delle spade, come quelle corte dei romani o le lunghe dei celti, né i particolari reparti di artiglieria dei frombolieri di cui erano esperti i romani; né la disposizione tattica ben inquadrata come quella dei due fratelli Scipione, l’Asiatico e l’Africano, nella battaglia di Magnesia, la più grande battaglia romana.
Si tratta invece della creazione di un ordine di battaglia che nella sua composizione organica viene pensato previamente ma che nella diversità dei modi doveva essere integrato da piccoli ordini improvvisati emanati sul campo quando il generale si rendesse conto che qualcosa differiva da quanto aveva pensato.
Per questa ragione Canne è un capolavoro dell’arte della guerra. E i romani se ne accorsero. E Annibale resta un generale superiore anche al suo rivale Scipione, che lo vincerà a Zama / Naraggara copiando la sua tecnica, ma vinse anche perché aiutato dalla fortuna, per imprevisti imprevedibili, così come Wellington e Buecher contro Napoleone a Waterlòo (dicesi Vaterlòo alla fiamminga e non Uòterlo all’inglese come comunemente si dice).
Il sogno di Annibale
Ma vorrei evitare di approfondire le doti tattiche del Cartaginese per accennare al suo pensiero generale, al suo sogno, cui dedicò la vita. Si tratta del più ambizioso progetto pensabile: capovolgere con le sue sole forze di agile movimento la struttura della storia mediterranea: uscire dalla idea cartaginese di un impero africano in Spagna, ma aggiungere all’Impro africano l’Impero romano già sorto da tre decenni, portando le due penisole iberica e italica in una unione organica, che chiudesse il Mediterraneo occidentale nella sua sfera geografica completa, occupando la parte centrale di quel mare e mettendosi a confronto con il mondo orientale degli Epigoni di Alessandro. Riportando l’egemonia cartaginese in questo mare come un tempo.
Occorre premettere infatti che la storia di Annibale nasce da molto lontano, da quando Cartagine, sorta alla fine del IX secolo, un sessantennio prima di Roma come città fenicia (punica), svolge il suo ruolo mercantile sui mari ma dotandosi di un retroterra africano di tutto rispetto (che avrà una storia a sé, talora anche drammatica).
Cartagine come Venezia, per più di un aspetto: per il suo ruolo marinaro, che solo più tardi avrà una fortuna di terraferma e per la sua longevità: Venezia dall’VIII secolo giunge al XVIII, un intero millennio, Cartagine durerà per almeno sette secoli senza mutare la costituzione di base, che era oligarchica. E Aristotele nella sua esatta visione delle costituzioni la loderà proprio per la longevità (come quella cretese dorica e anche come quella dorica di Sparta): e longevità è semre sinonimo di Buongoverno, perché una clsìasse dominante non può reggere a lungo se esercita un governo tirannico.
Ebbene Cartagine svolgerà nell’Occidente mediterraneo un ruolo che forse prima di lei aveva avuto solo Tiro fenicia nel Levante (quando Hiram offrì le sue poderose flotte al re Salomone, quella di Asiongaber nel mar Rosso e quella di Tarshis / Cadice sull’Atlantico).
Cartagine non è solo potenza dell’ultimo millennio a.C.: perché sa sfruttare gli scali commerciali che in tutto il mondo mediterraneo e Atlantico avevano stabilito i massimi navigatori del mondo antico, i Micenei. Cartagine si prese tutta la parte occidentale di quegli scali: e giunse presto a recuperare per sé le fondazioni micenee del Mare del Nord e del Mar Baltico, in un’ottica dalle prospettive immense, che a noi sfugge, ma che ci è chiara anche nei successivi studi di navigazione compiuti dai Cartaginesi. A Cartagine sorse una Scuola di geografi che illustrarono tutte le rotte atlantiche: fortunato precedente di quella scuola nautica che a Lisbona fonderà il più grande dei navigatori dell’età moderna, quell’Enrico che, spinto dalla sua prospettiva cristiana, divenne il primo conoscitore del globo e con le sue tecniche di veleggio il più grande navigatore di tutti i tempi e perciò detto Il Navigatore ancorché non si fosse mosso dalla sua Lisbona.
Dunque dobbiamo seguire quelle mappe cartaginesi per farci un’idea di quale era la statura internazionale di Cartagine. Le Spagne non erano per essa il semplice territorio posteriormente acquisito da parte della famiglia dei Barcidi nella seconda metà del III sec. a.C., non una terra estranea da conquistare, bensì una zona centrale per la navigazione transoceanica, essendo quella enorme penisola la terra che metteva in comunicazione l’Oceano esterno con quello interno Mediterraneo. E vediamo possiamo dunque leggere le rotte percorse continuamente dalle loro flotte mercantili che costeggiano il golfo di Biscaglia e risalgono le coste Galliche fino alle Isole Kassiteridi (le isole dello Stagno, materiale prezioso quanto il rame spagnolo per formare il bronzo che è lega tra rame e stagno), le isole britanniche e le Swalbard; e investono la penisola danese e entrano nel Baltico. Come fecero i Micenei che dal Baltico si collegarono con l’immenso territorio sarmatico attraverso i grandi fiumi sfocianti nel Baltico (la Vistola) fino ai fiumi sarmatici che si proiettano nel Mar Nero (Pontus Euxinus): come ci insegna la geografia greca del Mito degli Argonauti, che partirono da Occidente per raggiungere l’Oriente del Vello d’Oro, tornando in Tessaglia da Oriente.
A Cartagine vennero concepite anche le prime Carte nautiche. Le quali dicono che la penisola iberica non è esterna e occidentale, bensì centrale non meno che quella italica. Dal canale di Sicilia si passa al mare Greco, dallo stretto di Gibilterra si passa all’assai più vasto Oceano Atlantico. E le isole che le fronteggiano a est, le Baleari, sono un prezioso territorio che delimita il Mediterraneo occidentale, A est le grandi isole Sicilia, Sardegna e Corsica. E il Tirreno viene visto da quelle Carte nautiche come triangolo i cui cateti sono le coste settentrionali della Sicilia e quelle orientali di Sardegna e Corsica, e la cui ipotenusa è la costa tosco-laziale-campana. Al cui centro è Roma, perfettamente in asse con Cartagine nell’estremo sud, che vede il Tirreno dall’imbuto formato dal Canale di Sicilia.
Quando in seguito alla seconda colonizzazione greca i Greci diverranno concorrenti degli scali fenici, le flotte delle città fenicie del Libano subiranno l’intraprendenza dei mercanti greci soprattutto in Egitto, limitandosi poi a rinverdirsi divenendo la marineria dell’Impero persiano. Ma in Occidente Cartagine farà ben altro. Si opporrà all’intervento greco, non tanto a quello della prima colonizzazione in Sicilia e Italia meridionale, quanto alla seconda e più invasiva, di VI secolo, sulle coste liguri e galliche. Fu allora che Cartagine si alleerà con i centri etruschi, per affrontare i greci della Ionia (e specialmente di Focea) nella battaglia di Alalia in Corsica (lo Scontro del Mare Sardo: 540/535 a.C.) descritta da Erodoto come la più grande battaglia navale del mondo antico. Non sappiamo chi la vinse, ma lo induciamo dal trattato di pace nella definizione degli spazi marini che allora si puntualizzò: a Oriente gli Ioni, nel tratto che da allora si dirà Mare Greco o Ionio; la zona tra l’Italia e le grandi isole agli Etruschi / Tirreni e che da allora si chiamerà Tirreno; la zona a ovest invece rimarrà dominio di Cartagine. E questa, per evitare mire dei greci sull’Atlantico, crearono o favorirono il mito delle Colonne d’Ercole, per Greci e Romani divenuto l’estremo limite (con la fatidica scritta “Nec plus ultra”. E da questa forte posizione influiranno in vario modo nei commerci del Tirreno con gli Etruschi e contemporaneamente con i Romani. Ci sono ben quattro successivi trattati di navigazione tra Cartagine e Roma nei primi due secoli della Repubblica (dal V sec. alla metà III secolo) prima di iniziare il grande confronto fra Roma e Cartagine: e la prima punica sarà una guerra per gli scali tirrenici, cioè per la conquista della egemonia nell’isola di Sicilia, che proprio alla fine della guerra diverrà provincia romana, la prima provincia dell’Impero mediterraneo di Roma.
E’ a questo punto, per aver i romani abbattuto in gran parte la flotta punica, che Cartagine deciderà di prendersi la penisola iberica, già sua commercialmente ma ora più sistematicamente dipendente da essa, per la portentosa quantità di giacimenti minerari e la ricca quantità di grano e di olio del suo territorio. In questo impero spagnolo interviene Roma, giungendo, dopo qualche scaramuccia, al definitivo Trattato dell’Ebro, che segnava il confine estremo del potere cartaginese. Ed è solo per la diversa visione nell’applicare quel Trattato applicandolo al caso della città-stato di Sagunto, che si scatenò una guerra tra Roma e Cartagine: Sagunto era assai sotto il confine dell’Ebro, dunque in area cartaginese, ma era città con respiro ellenistico, che si strinse a Roma come tutte le città ellenistiche. Dalla presa di Sagunto (dopo lungo assedio) ha origine la Seconda Punica e in particolare il portentoso iter di Annibale.
Annibale e l’unità dell’Europa occidentale
Torniamo dunque a quell’ampio disegno internazionale del generale cartaginese: creare dalla Spagna un imperio mediterraneo, che mettesse in collegamento diretto tutte le aree, da quella africana a quella iberica e a quella celtica della Provenza e della Padania, all’Italia peninsulare e da qui alla Sicilia e di qui a Malta e a Cartagine, un cerchio completo che circondasse tutto il Mediterraneo occidentale trasformandolo in un Lago punico. Era un primo vasto disegno dell’intera Europa come mondo occidentale, di contro al mondo ionico come area egea ed anatolica ed Egizio-asiatica.
Di solito si inquadra Annibale tra i personaggi ellenistici, e ciò è in parte vero, ma ancor più vero è vedere in lui il primo ideatore di un mondo mediterraneo occidentale completo dall’Atlantico al Canale di Otranto, mantenendo ovviamente la proiezione atlantica attraverso la fascia commerciale su tutte le coste europee fino alle terre britanniche e scandinave (non scandinave) e delle coste germaniche.
Un grandissimo disegno. Un disegno simile verrà concepito in altri contesti storici: dai Visigoti di Ataulfo e poi ancora di Vallia, che daranno la spada a Roma divenendone i massimi difensori contro i Vandali e altre stirpi germaniche e contro gli Unni di Attila. E non sceglieranno a capitale né le Spagne né Roma, bensì Tolosa nella Gallia meridionale, realizzando la visione di un universo gotico-romano, anch’esso un progetto europeo occidentale.
Questo progetto, degli anni 412-430, verrà ripreso dall’ostrogoto Teodorico e dalla intelligente figlia Amalasunta negli anni 493-530, in un universo mediterraneo “umanistico” di cultura imperiale romana, federazione germanica subordinata all’Impero ormai costantinopolitano, a cui si coordineranno anche i Vandali. Con centro a Ravenna, duplicato di Costantinopoli. Progetto sublime che fallirà per l’incapacità dei Goti al sentire “romano”: e Amalasunta ne sarà la vittima: la sua morte segnerà la Diana alla guerra greco-gotica di Giustiniano.
Il progetto di Annibale non avrà sensibile ripresa se non in Carlo (primo realizzatore dell’unità dell’Occidente latino, ma ponendo il centro sulla Mosa ad Aquisgrana e dunque creando l’Europa nostrana; ma sarà Ottone III a migliorarla portandosi da Aquisgrana a Roma, vero centro del Mediterraneo occidentale: cosa che i moderni europeisti ignoreranno, riportandone il centro sul Reno, punendo l’Italia e il Mediterraneo.
Ripristinò il disegno annibalico Carlo V, che dalle Fiandre porterà il centro al Mediterraneo occidentale acquisendo i territori catalani del Meridione d’Italia e in comunione con il Papa. Ma sarà un papa, Clemente VII, a far finire i sogni di quel grande cristiano, alleandosi ai nemici di Roma, ai sovrani protestanti contro i sovrani cattolici e al Turco e ai Barbareschi..
Ma Annibale andava oltre. Per lui il sogno stava completandosi avendo fatta sua praticamente tutta l’Italia, in una struttura già presente, la Padania con i Celti divenuti ormai suoi alleati, e la Sicilia e il Meridione tutti suoi.
L’esitazione di Annibale
A completare il disegno mancava solo Roma… ma rimarrà sogno infranto e insieme mistero per gli storici che a lungo se ne chiederanno il perché. Egli non si misurò con la Città eterna, forse perché in essa vedeva qualcosa che andava al di sopra delle sue possibilità.
Inutile dire che Roma avrebbe resistito. Aveva sì gli alleati dell’Italia centrale, mantenutisi fedeli anche dopo la clades del Trasimeno. Ma in quel momento non aveva forze per resistergli (e già per Canne aveva dovuto arruolare perfino schiavi e prigionieri). E poi Annibale non le avrebbe posto assedio ma l’avrebbe distrutta in combattimento campale: come aveva fatto Brenno.con i Galli Senoni.
Roma sarebbe sicuramente crollata. E allora, perché non attaccarla? Forse Annibale si interrogò con il mondo divino ed ebbe una risposta che lo fermò, nella sua comprovata pietà religiosa.
L’esclamazione di Maarbale: «tu sai vincere, ma non sai approfittare della vittoria» è addirittura ovvia. Però Annibale aveva sue ragioni per giudicare la situazione dopo Canne Per l’elevato numero di morti e feriti tra i suoi ranghi, l’esercito punico non era in condizione di porre un assalto su Roma: e una marcia verso la città sarebbe stata un inutile atto dimostrativo. Del resto Roma aveva ancora forze sufficienti. Eppure osseva McKnight «forse considerando che Annibale alla fine perse la guerra, era un rischio che avrebbe dovuto correre!» Altri pensano che il fatto di attaccare Roma solo cinque anni più tardi (nel 211 a.C.) fan pensare che il suo obiettivo non era la disfatta del nemico, ma ammonire i Romani in campo e ridurli a un accordo di pace.
C’è chi dice che nulla avrebbe potuto Annibale contro Roma, ma non è vero. Roma era alla sua ultima ora. Fu Annibale a salvarla. C’è negli eventi umani qualcosa di imponderabile, che sfugge alla comprensione perché non trova spiegazione plausibile nei fatti: né si può impedire che i fattori psicologici entrino nella storia, vi entrano e sono determinanti. Nella storia si scontrano le volontà, e qui contò la decisione di un uomo, Annibale. Che egli lo facesse per stanchezza o per superstizione, per incapacità di valutare il momento o perché pensasse più propizio stringere con gli alleati di Roma, o perché ritenesse troppo grande la fortuna avuta e impreparato moralmente a sostenerla, o perché gli dei che gli avevano procurato fortuna glie l’avrebbero tolta, o perché vide in Roma un nome più rande, segnato dagli dei in cui egli credeva, non si sa.
Si dice che egli perse la partita nei riposi capuani che snervarono la combattività dei suoi: “Perfida Capua!” è antico motto e monito. In realtà ben prima il Cartaginese aveva già perso la partita: sconfitto per vittorie non sfruttate. Nessuno potrà pensare che l’occupazione di Roma avrebbe mutato il corso storico, essendo impossibile per Cartagine governare la penisola da posizione così eccentrica. Invece era concreta la posizione in Valpadana, che Annibale aveva conquistato alla Trebbia: in Cisalpina i romani erano penetrati da poco e solo per episodi militari, e Annibale aveva dalla sua i popoli padani. Ma anziché restarvi a tessere con questi una alleanza solida, sfruttando le differenze culturali e geo-climatiche tra Italia padana e peninsulare dando tocco a un vasto impero coeso dalla Cisalpina alla Spagna (unità che sette secoli dopo avrà riedizione ostrogoto-visigota e poi versioni medievali e moderne), Annibale sceglie invece di passare gli Appennini (con immense difficoltà) e entrare in Valdichana: Perfida Chiana!
Ma la vittoria al Trasimeno non aggregò popoli e territori né scalfì la solidità di alleanze tra Toscani e Romani. Già dopo la vittoria, rileva Toynbee, “neppure uno Stato dell’Italia peninsulare passò dalla sua parte”: non si fidavano; ed era passato un intero secolo dal foedus con Roma: Annibale trascurò questo dato, per cui il resto della sua avventura può dirsi cronaca e non storia. La inutilità della vittoria evidenzia la solidità di quell’alleanza e segnala l’utopia dell’impresa pur militarmente perfetta. Che l’alleanza con Rom funzionasse è evidente dai fatti del 205 a.C.: si sta preparando l’impresa di Scipione in Africa, e Roma chiede aiuti per lo sforzo comune ai membri della lega italica. I quali risponderanno concordi.
Dopo Canne verranno ad Annibale molti popoli del meridione: ma non basteranno. E Siracusa si aggregherà a lui tropo tardi… Perfidae Cannae!
La trasformazione di Annibale
E’ allora che – già dopo il Trasimeno, più ancora dopo Canne, – Annibale subirà una trasformazione interiore: allontanato il sogno di Roma, egli da sognatore altissimo diverrà solo un normale comandante militare sia pur tatticamente dotato. E sceglierà non Roma ma Capua, luogo opulento di accoglienza e centro di quel Meridione da consolidare. E attese, fidando in alleati come il re di Macedonia ad Oriente, ma dimenticando la piattaforma spagnola e quella africana. Attese gli eventi. E in quel Meridione affondò per tredici anni: mentre i romani non stavano inerti: in Sicilia e in Spagna gli Scipioni riprenderanno terreno.
Così Annibale, vincitore assoluto, si troverà privo di forza: soprattutto perché aveva contro di lui lo stratega Fabio Massimo Cunctator, vero Scudo di Roma e l’ardito Marcello, vera Spada di Roma, che portò la guerra contro Siracusa, l’alleata greca di Annibale: alleata troppo tarda, che se fosse venuta all’indomani di Canne avrebbe potuto fare del Meridione e della Sicilia una sola cosa. Annibale seppe vincere Marcello in una imboscata, ma non fermare Fabio, il quale con la conquista di Taranto gli toglieva i collegamenti orientali. E Fabio aveva chiuso Annibale nel rettangolo del Meridione con cerniera al Volturno e con tenuta delle coste, che impedivano al Cartaginese di uscire da quella prigione pur vastissima. Né Annibale potrà unirsi alle forze condotte dai fratelli Asdrubale, fermato al Metauro, e Magone.
E quando riuscirà a forzare il blocco, sarà solo per portare aiuto alla sua terra ormai stretta dalla morsa di Scipione. E sarà la battaglia di Zama / Naraggara, massimo capolavoro di Annibale, ma anche di Scipione, che aveva dalla sua i Nùmidi (non Numìdi come ho udito dire!): i Nùmides-nòmades e i Mauretani della terra di pascoli equini, con una cavalleria non più eguagliata.
Contrapponendosi idealmente a Gaio Flaminio, Q. Fabio Massimo scelse a simbolo quella Mens che era il corrispettivo latino della greca Metis (il cui influsso egli aveva riconosciuto nell’operato di Annibale) e ne fece il presupposto della sua vincente strategia..
L’eredità di Annibale, l’Imperialismo
Quale l’eredità che Annibale con il suo passaggio regalò ai Romani? Il Toynbee mostra quel che avvenne nella storia romana dopo quel passaggio: fu tale lo choc delle sue vittorie, che i romani concentrarono tutte le forze per la salvezza della Città-stato. Da allora Roma puntò nella forza militare la sua politica: per vincere Annibale aveva compiuto un tour de force impensabile. E da allora procedette a ritmi serrati alla occupazione di tutti gli spazi.
Così il regalo di Annibale fu quell’imperialismo che portò Roma a sottomettere i popoli, passando sopra alle formalità rituali che costituivano il cuore del sentimento romano antico. Sottomettere popoli era considerato in antico contrario alla volontà divina (occorreva attendere che l’offensore fosse lo straniero e poi attenersi alle prescrizioni della clarigatio – la dichiarazione di guerra difensiva fatta dai feziali – e prima di occupare una città chiedere agli Dei di questa di venire ad abitare a Roma, e dopo la vittoria rimettere in piena libertà il popolo vinto. Ma ora si muta pensiero. Così, se prima era considerato orribile avere sparso sangue nemico e si imponeva ai soldati di purificarsi lavandosi e passando sotto un arco purificatorio dinanzi a cui inchinare la persona, in seguito quell’arco purificatorio verrà mutato in arco di Trionfo…
E il popolo agricoltore si trasformò in popolo guerriero, sostituendo alla fatica del contadino la facilità di accumulo nelle conquiste transmarine. E l’imperialismo dette il potere in mano ai generali, i quali combatteranno gli uni contro gli altri (le guerre civili). Ciò fino ad Augusto, il quale darà vigore nuovo all’agricoltura e proclamerà la fine delle guerre civili e restituirà ogni popolo alle sue antiche libertà, vietando di tenere armi, sia pur di difesa.