Di Vittorio Venditti
(Foto), Di Salvatore Di Maria
Ce La Potevamo Risparmiare!
E’ sinceramente questo il sintetico commento che mi viene spontaneo esprimere pensando al contenuto della serata che abbiamo vissuto ieri sera a Tufara. Ovviamente c’è stata anche qualcosa di buono e questo sarà l’inizio di ciò che vado a raccontarti.
Come ogni sera di festa o presunta tale si deve uscire per non morire di noia a casa o per non andare direttamente a dormire pensando al lavoro del giorno successivo. Reduce da una giornata disastrosa nel campo delle comunicazioni radiotelefoniche a Gambatesa, (nel tardo pomeriggio, pur di riattivare le linee fisse del paese che non funzionavano dalle tredici, ho dovuto chiamare un amico personale in Telecom Italia, il quale in cinque minuti ha risolto un problema che pareva insormontabile, mentre nulla sono riuscito a fare per lo stesso problema che a tratti toccava ogni compagnia telefonica impegnata nel traffico dati in mobilità), mentre pativo tutto questo, stanco all’inverosimile, riesco a chiamare Totore per vedere se si potesse imbastire qualcosa di valido per le ore successive. Incontratomi con il mio amico e collaboratore, decidiamo di vedere anche Donato e tutti insieme di partire per Tufara, visto che a Gambatesa, a parte l’umidità generata dal temporale pomeridiano, non c’era nulla da fare.
Arrivati dunque nel paese vicino, per prima cosa, dopo aver parcheggiata la macchina abbondantemente fuori dal centro abitato, nel raggiungere la piazza centrale e poi il bar Adamo, ci siamo imbattuti nel nostro amico Gigino da Sant’Anastasia, e lì non potevamo evitare di onorarlo, per cui, senza perder tempo, e constatato che nel frattempo si erano aggiunti a noi anche Mario (melosh) e Giuseppe (zngarell), decido di acquistare una vaschetta di muso di vitello lesso, vaschetta che il buon Gigino ci riempie a dismisura, dimostrando verso la nostra squadra la solita sincera amicizia che ormai da anni ci lega.
Divorata alla selvaggia la vaschetta in questione, i cinque arditi si rimettono in marcia verso il bar Adamo, per l’occasione gremito a sufficienza per sembrare che fosse festa. Lì, salutati gli amici, decidiamo di acquistare qualche bicchiere di birra perché uno a testa non bastava, atteso che il muso di vitello che avevamo comprato da Gigino fosse stato adeguatamente salato e che quindi dovevamo porre rimedio urgente al problema, così come da protocollo della C G Pelle.
Ora inizia il peggio. Dopo circa una mezz’ora dai fatti fino ad ora narrati, decidiamo di esaminare cosa venisse proposto a tufaresi e loro ospiti dal comitato festa per San Giovanni Eremita, (che ricordo a me stesso, è anche il santo patrono del paese che ci stava ospitando), per cui, tolte momentaneamente le tende dal bar Adamo, c’incamminiamo verso il centro storico, dove si stava esibendo una delle tante cover di Fabrizio De André, il quale, se non si è rivoltato nella tomba ieri sera, è perché da vivo, così come da morto, era e resta un Grande. Arrivati in zona infatti, oltre a trovare parecchia gente che ascoltava, (il posto però non è molto capiente), noto immediatamente due cose: La musica praticamente a palla al limite della distorsione, (musica che nel caso specifico avrebbe dovuto rispettare il poeta venendo proposta a livello davvero più basso e decoroso del centro storico che la stava ospitando), distorsione che spesso sfociava in fastidiosi effetti Larsen di media frequenza, (fischiavano i microfoni in maniera bestiale), il tutto proposto in modo da rendere chiaro che quel gruppo forse l’esecuzione originale l’aveva vista in cartolina, con l’aggiunta di chi cantava che oltre a stonare, mi faceva pensare a tutto fuorché al grande Faber. A ciò, va aggiunto che in un momento di pausa fra una canzone e l’altra, un paio di nostri compaesani, legittimamente avevano deciso di abbandonare il campo, ed il cantante, dal palco, notata la cosa ha iniziato ad ironizzare sul fatto che queste persone andassero via, suscitando in me un effetto di repulsione che qualche minuto dopo, stante l’elefantiasi dello scroto che aveva nel frattempo pervasa la nostra intera squadra, imponeva la fuga per evitare di dover vomitare il muso di vitello di cui sopra. Noi però, a differenza di Tolomeo, cui va tutta la mia solidarietà, abbiamo fregato il cantante perché siamo scappati mentre stava, per così dire, svolgendo il proprio lavoro.
Fuggiti da quell’obrobrio, avevamo pensato di ripiegare sulle posizioni precedenti, ma Donato, visti liberi i tavolini di fronte al bar Europa, ci chiede se non fosse il caso di fermarci lì per affogare la delusione in qualche altra bottiglia di birra. Acconsentiamo e ci accomodiamo al tavolo, dove di lì a poco, per iniziativa di Donato e Mario, veniamo serviti e dimentichiamo la brutta avventura precedente.
Dopo circa un’ora però, visto che la festa volgeva al termine e considerato che per i prossimi quindici giorni a partire da inizio mese, il bar Adamo sarà chiuso per le meritate ferie, decidiamo di tornarvi per salutare ed augurare buone vacanze ai nostri amici abituali di Tufara, ovviamente innaffiando il tutto con altra Forst.
Così, arrivati alle due e pensando questa volta seriamente che di lì a qualche ora ci saremmo dovuti alzare per lavorare, recuperati armi e bagagli e riprese le nostre automobili, facciamo rientro a gambatesa per andare a dormire, trovando un paese letteralmente cristallizzato in un silenzio di tomba, rotto solo dal ronzio dei pochi lampioni ancora accesi.
Ora non ci resta che attendere che passi la giornata, magari per pensare di ripetere la trasferta, questa volta recandoci a Pietracatella per onorare quanto già presentato su quest’inutile sito, tenendo però conto del fatto che domani sarà una giornata campale, sapendo già cosa ci aspetta al Castello di Gambatesa e soprattutto tenendo conto del lavoro straordinario che mi toccherà fare su richiesta del mio amico Luca D’Alessandro che mentre scrivo questa parte finale della farneticazione mi ha interpellato per telefono, abbassandosi a chiedere a me di fare un lavoro che a Gambatesa sanno fare altri meglio di me, quindi accontentandosi di poco, cosa della quale parlerò a missione compiuta.