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PANTANI COME TORTORA: Da Morto Però!

Di Vittorio Venditti

Quante Volte Dobbiamo Ancora Scriverlo?

Dopo l’indigestione di fatti paesani e prima d’immergerci nella settimana che ci porterà al ferragosto che speriamo passi prima possibile, uscendo in Italia e poi nel mondo, andiamo a toccare fatti di consumo che sono stati consumati per l’appunto nei giorni scorsi, fatti dei quali già non frega più niente a nessuno, fatti che potrebbero stare tranquillamente in quel “Barile Raschiato” che con calma stiamo preparando e che andremo a riaprire non appena ne avremo voglia.

Quanto ancora dobbiamo assistere alle performance di una giustizia-carnevale che si lamenta per il fatto che qualcuno vuol ridurle il potere e non si accorge che questo potere lei già non lo ha più perché lo ha venduto al miglior offerente?

In diverse occasioni ho scritto del povero Enzo Tortora e dei tanti Enzo tortora che nel mondo, ma soprattutto in Italia, devono subire il calvario della perdita di dignità per interessi altrui; aggiungiamoci anche questa chicca e continuiamo a dormire tranquilli.

Ho farneticato anche di fatti personali e di tante altre cose che a distanza di anni poi hanno creato clamore, ma nulla è cambiato, almeno in maniera vistosa. Ho espettorate tutte le mie “perplessità” su certi “insabbiamenti” imposti dall’interesse che metteva di fronte la magistratura ordinaria ed altri poteri, della regione o dello Stato, (vedi le innumerevoli volte che ho parlato di quanto accaduto a Gambatesa il ventiquattro aprile del duemila, cosa che mi stava uccidendo, cosa che è stata opportunamente, anzi, opportunisticamente dimenticata da chi ancora ruba il pane allo Stato e la giornata a Cristo dalla procura della repubblica di Campobasso, ma quest’ultima, nonostante tutto, non ha avuto nemmeno il fegato di querelarmi, magari per calunnia, per obbligarmi a dimostrare quanto farneticato:

CACONI! VERGOGNA!!!

Oggi dunque si torna a parlare di Marco Pantani che è stato osannato in Italia e nel mondo da tutti, ed è stato dimenticato alla stessa stregua da chiunque, dopo che il suo vivere non dava più le emozioni delle quali la massa si ciba ed in pochi ne approfittano per ingrassare sempre di più e meglio.

Giusto è dunque il finale dell’ottimo e puntuale articolo di Alberto Coriele, “Ma Marco non è morto a Rimini, è morto tante altre volte. E forse l’unico modo di ridargli un po’ di vita, è ridargli giustizia e dignità.”, magari da estendere ai tanti morti più volte che vivono ancora in attesa di giustizia. Giusto e puntuale questo finale, se serve a rimestare la merda che copre i palazzi di giustizia italici, magari per provocare quel puzzo che potrebbe essere utile a risvegliare la coscienza di chi, più che pagato, ha bisogno di avere altri soldi provenienti dalla corruzione, per poi non lavorare ma soprattutto dover comunque morire. Sì, perché anche quei bastardi muoiono, e se per noi è una magra consolazione, è allo stesso modo da considerarsi l’inizio della nostra perdita della pazienza, viatico ad una ribellione che ci restituisca seriamente una vera giustizia.

“E quindi uscimmo a riveder le stelle”.