Di Vittorio Venditti
Continua L’Odissea
Come ho annunciato, ecco la continuazione di quanto accaduto lo scorso 13 marzo, (qui per ricordare), racconto che, da buon Ulisse, non posso, ne voglio tacere.
Lunedì scorso dunque, come da impegnativa che fissava l’appuntamento alle due e trenta pomeridiane, mi sono recato presso il primo piano dell’ospedale vecchio di Campobasso, per ottemperare a quanto la Legge propone ed impone a chi vuole usufruire del servizio di assegnazione di protesi. Per essere puntuale, ho evitato di tornare a lavoro nel pomeriggio, prendendo altre due ore e mezza di ferie.
Alle due e venticinque eccomi nella sede di cui sopra: Non c’era un’anima viva; potevi girare nudo per i locali e non ti avrebbe calcolato nessuno.
Arrivato con chi mi ha accompagnato presso lo studio dell’oculista che avrebbe dovuto attestare la mia cecità, mi siedo in attesa di chi mi avrebbe dovuto visitare.
Verso le due e trentacinque, (puntualità, come si vede “Teutonica”), arriva una donna di mezza età dall’aria svampita, la quale entra con tutta calma nello studio dove di lì ad un bel poco sarei entrato anch’io e chiude la porta. Altri buoni dieci minuti ed arriva un’infermiera che attendeva un paio di ragazze tirocinanti. Risolti i loro problemi, ad una di queste ragazze viene detto di entrare nello studio di fronte a me, e l’infermiera che insegnava alle tirocinanti, prende la mia prenotazione e quella di un altro signore che nel frattempo era giunto in loco.
Superate abbondantemente le tre, ecco che vengo chiamato. Mi trovo dunque di fronte alla signora che era entrata per prima nello studio e subito mi viene da preoccuparmi, ringraziando Dio di essere andato lì per soddisfare una richiesta burocratica e non per ricevere una visita reale. La persona in questione infatti, anche nel parlare scantonava come fosse una nave alla deriva.
La Nostra, (della quale, per pura pietà non farò il nome, visto che a mio avviso costei non stava bene in salute), per prima cosa mi dice: “Ha portato il precedente referto?”, ed io; “Mi perdoni, ma io sono venuto qui nove anni fa per la medesima ragione per la quale oggi vengo a disturbare, e credo che non ci sia bisogno di alcun referto che attesti che non vedo visto che la cosa è visibile; al di là di tutto, ho qui il certificato d’invalidità civile, per altro rilasciato dalla vostra struttura.”. A questo punto, la “dottoressa” m’interrompe dicendo: “Ma guardi che lo so che lei ha un glaucoma congenito! Vuole che non me lo ricordi?”, tanto che di primo acchito mi stava venendo di dire, “Ma allora che me lo chiedi a fare il referto, scema?”. Sono stato zitto, anche perché avevo notato un leggero imbarazzo nell’infermiera che assisteva alla scena, imbarazzo in parte dovuto al fatto che la “Dottoressa”, mentre iniziava a redigere con mano tremante il documento che mi avrebbe di lì a poco consegnato, già parlava di quanto doveva trattare con il paziente, (davvero paziente), successivo, alla faccia della privacy.
Tralascio le altre schermaglie che mi stavano facendo pentire amaramente di non aver seguito il consiglio della nostra “Mina Vagante”, che mi proponeva di comprare quanto mi serviva per conto mio, per arrivare all’unica nota positiva che ha contraddistinto l’incontro con quel “medico”: La Nostra, ad un certo punto mi ha chiesto a cosa mi sarebbe servita la sintesi vocale che stavo richiedendo ed io, per evitare di alzarle le mani addosso le ho detto che mi serviva innanzitutto per lavorare, facendo bene ad evitare di menarle, non tanto perché fosse una donna o perché fosse un medico, quanto per la ragione che lei stessa, mi ha immediatamente esposto, consistente nel voler evitare che mi rimandassero da lei, per incompletezza del certificato.
Terminata la prima battaglia, verso le tre e mezza scendo al piano terra per recarmi all’ufficio di accettazione della pratica dove, fatta la giusta fila, mi trovo di fronte un impiegato sufficientemente gentile, il quale, presi i documenti che dovevo consegnare, li ha guardati per esclamare quasi immediatamente: “No no, questo certificato non va bene!”, io chiedo il perché e lui di rimando: “Qui non è specificata la patologia per la quale lei richiede la protesi”; era chiaro che il Nostro volesse cercare di crearsi un punto di potere nei miei confronti. Visto ciò, ho fatta una smorfia di quelle eloquenti, dicendo al mio interlocutore di leggere bene quanto aveva in mano, perché la ragione per la quale presentavo una simile richiesta era più che chiara e leggibile. Il Nostro, visto che non poteva combattere, mi ha solo chiesto se desiderassi ricevere l’autorizzazione all’acquisizione della protesi a domicilio, o se preferissi andare a ritirarla di persona. Optato per la seconda ipotesi, mi sono congedato per andare a vedere quale fosse l’ufficio presso il quale recarmi giovedì prossimo.
Qui, ho trovato qualcosa che rasenta il grottesco:
Un paio di corridoi, e mi trovo di fronte a tre o quattro gradini, (non ricordo con precisione), che portano all’anticamera dell’ufficio che restituisce le pratiche per l’assegnazione delle protesi. Per me, nulla da eccepire; mi chiedo però quanto sia comodo per chi non può camminare, raggiungere in autonomia, (quell’autonomia alla quale tutti hanno diritto), l’ufficio presso il quale magari ritirare l’autorizzazione all’assegnazione di una sedia a rotelle…
Con tante stanze a disposizione: Non si poteva trovare una soluzione migliore?
Perché si vuol costringere una persona a servirsi per forza di altri, (con tutto il rispetto per chi ci aiuta), anche quando la cosa si può evitare?
Per ora finiamola qui, in attesa di vedere cos’accadrà giovedì prossimo. Nel frattempo, tornando ai ricordi di nove anni fa, dovrei attendermi l’invio per posta di lettere pubblicitarie con le quali pseudo farmacie si propongono come mediatori risolutivi per permettermi più comodamente di acquisire la mia protesi, (senza sapere che se dovesse succedere, mi rivolgerò a quei fessi che troviamo nella procura della repubblica, ovviamente pro forma), pseudo farmacie che pretenderebbero, con la mia complicità, di spillare qualche soldo alla sanità molisana, proponendomi un servizio che non ha ne capo, ne coda, atteso che io abbia consegnato il preventivo con il costo più basso, acquisito direttamente dalla casa importatrice, e considerato che la protesi in questione mi potrà e dovrà essere inviata direttamente dai miei interlocutori, senza ulteriori aggravi di spesa per l’A. S. L. o chi che sia.
Mi aspetto infine, (sperando che non sia più così), di dover andare a collaudare la mia protesi, come accadde nove anni fa.
Allora, fui costretto a prendere il mio p c ed a recarmi di nuovo dall’oculista che aveva redatta la richiesta di protesi, per mostrarne il funzionamento.
Te lo immagini se dovessi compiere quest’azione di fronte alla “Svampita”?
Potrebbe capitare che le suoni in testa il computer, ritarandola a dovere!
Altro materiale da portare al politico che spero vorrà ricevermi?
Va beh! Aspettiamo e vediamo come andrà a finire!