Di Vittorio Venditti
(Foto), Di Salvatore Di Maria
Quest’Anno Più Tecnologica Anche Per Noi!
Ce l’abbiamo fatta: Siamo vivi anche in questo due gennaio, dopo aver superati, non senza difficoltà i bagordi derivanti dalla gestione della nostra Tradizione, che che ne dicano i detrattori, sempre e comunque la più bella, visto che anno dopo anno sa rinnovarsi. E’ proprio per questo che riesco a poter scrivere senza quasi ripetermi, quest’anno addirittura senza nemmeno il giorno di pausa/pelle.
Eccoci dunque indietro di due giorni e, bypassata a piè pari la furbata di chi tenta di benedirci anno per anno per poi disprezzare il lavoro di coloro che non vanno a genio a questa setta, (mi sono tolto lo sfizio di sfottere Johnny, dicendogli che se non fosse andato davanti alla chiesa l’altro pomeriggio, avrebbe rischiato di non sposarsi), passiamo direttamente a quanto si è verificato a partire dalle nove e mezza, due ore e mezza prima della scadenza di un duemilatredici che, tutto sommato, a me non ha creati danni, ma mi ha data la possibilità di crescere e discernere fra ciò che per me può essere buono e quanto va rifiutato.
Siamo usciti per incontrarci con quella che sarebbe dovuta essere una semplice squadra di amici che attendevano la mezzanotte, perché dopo tutto, io mi ero messo in testa di non partecipare direttamente alla costituzione di una squadra, nonostante il progetto di Alessandro Di Iorio, abortito prima di nascere per ragioni personali del suo creatore ed anche per effetto di quanto accaduto lo scorso anno, quando, aggregato alla squadra “C Stem Pur Nuje”, ne sono stato allontanato dal caposquadra, reo di aver chiamato quest’ultimo per soprannome, (parlo di Giuseppe Massimo, Surchiett), (qui per ricordare), a mio parere invece, per ordini indiscutibili, ricevuti da altra sede; fatto sta che la cosa, più che danneggiare me, ha fatto sì che si creasse malumore fra gli squadristi della “C Stem Pur Nuje”, ma ne parlerò a fine farneticazione.
Tornando a bomba, eravamo fermi sulla villa all’altezza del bar dei fratelli Cafter, (questi, sono tre anni che chiudono l’esercizio, per riaprire solo alle quattro del pomeriggio del 1 gennaio), e la festa era già nel vivo; io, Totore (cancell), Donato (sdanghin), Enzo (pagnotta), Mario (melosh) e Giuseppe (zngarell), fermi sui gradini della villa, discutevamo su ciò che fare, atteso che comunque non ci andasse di aspettare la mezzanotte senza far danno. Ad un certo punto ci viene l’idea di esorcizzare quanto ci vogliono far credere da quattro o cinque anni: Che c’è una crisi in atto. Così, senza perdere tempo, decidiamo di fare sì, la squadra ed andare casa per casa come si conviene durante la santa notte, ma senza strumenti, simboleggiando che la mancanza di questi mezzi di supporto, sia dovuta alla crisi che ci ha impoveriti al punto di non avere più con cosa suonare.
L’idea piace e piace soprattutto a me, contento di potermi evitare il mal di schiena che ogni anno mi attanaglia per la prima settimana dell’anno, a causa del peso della mia fisarmonica, (una centoventi bassi Paolo Soprani, modello donnina seconda del 1977), che, sia pur in versione ridotta, grava per venticinque chili, visto che all’epoca, gli strumenti italiani erano ancora costruiti in Italia e con le capacità delle maestranze locali.
Così, alle dieci si parte e, dopo aver deciso di visitare il Sindaco per toglierci il pensiero, arriviamo a destinazione ma… La porta era chiusa e lì non c’era aria di festa alcuna.
Decidiamo di continuare verso la casa di Totore, anche perché, con tutto quello che gli è successo, non poteva non essere oggetto di maidunnate. Nell’andare verso casa Cancell, un dubbio mi assaliva: Vuoi vedere che per non stancare le spalle, mi tocca patire la perdita della voce? Sì, perché se mancavano gli strumenti, in qualche modo bisognava sopperire, per cui, oltre a cantar le maidunate, ci è toccato cantare anche le marcette, perché non sarebbe stato simpatico muoverci in silenzio.
Arrivati da Totore e prima che questi preparasse l’accoglienza della squadra, (che ovviamente abbiamo chiamata “Crisi”), non potevamo non venir immortalati sulle scale, nel compiere il nostro lavoro dissacrante e satanico, (ricordo che non ci siamo fatti benedire), ma sincero e gradito dal nostro amico, come da chiunque in seguito.
Fatte le maidunate di rito, ecco che ci avventiamo come selvaggi su ciò che il buon Totore ci aveva preparato.
Nel frattempo: Come dimenticare Marco Frosali che rosicava per il non poter essere a Gambatesa durante il giorno, anzi, la Notte per noi più importante dell’anno?
Fra un bicchiere di spumante ed un pezzo di ciò che mi veniva a tiro, decido di prendere il telefonino, (che stranamente anche quest’anno avevo con me), e chiamare il nostro amico; così, tutti d’accordo e con il viva voce attivo, iniziamo una battaglia a colpi di maidunate, che fa passare il tempo velocemente e soprattutto mette di buon umore Marco, buon umore che raggiunge l’apice quando il Nostro viene a scoprire come ci eravamo conciati e soprattutto qual’era il nome della nostra squadra, gruppo di cui tutto si poteva dire, tranne che non fosse rispettoso dell’ambiente
O che consumasse più del lecito.
Circa all’una e mezza del mattino, soddisfatti di come stava andando la nottata, usciamo dalla casa di Totore per cercare di riprovare a disturbare il Sindaco e la sua famiglia, (com’è tradizione da anni, tradizione per la quale a suo tempo Emilio stesso ci rimase male per il fatto che non ero andato a trovarlo): Niente, la casa del Sindaco non mostrava segni di vita. Così, decidiamo di andare a prelevare ciò che Donato aveva riservato alla nostra banda scalcinata e, dopo qualche maidunata di rito, consumare il tutto, alla faccia di chi ci vuole male.
E’ la volta di Mario e Giuseppe che per il fatto che hanno casa in contrada macchie e che sarebbe stato impossibile arrivare lì a piedi, avevano già preventivato di sostituire casa con le loro automobili ed accogliere lì chi avrebbe voluto visitarli, vale a dire noi.
Mentre disturbavamo Mario e Giuseppe, ecco che si trova a passare una squadra di ragazzi, la squadra “Rosita”, il cui cantore Marco Scocca, inizia una battaglia a colpi di maidunate, battaglia che mi ha permesso di apprezzare le capacità di Marco e di essere felice del fatto che la Tradizione comunque andrà avanti, atteso che Marco sia veramente bravo e capace: Erano circa le due e mezza del mattino e la foto che vedi, ti dovrebbe mostrare anche a che livello di carburazione eravamo arrivati, visto che è sfocata.
Ma ora comincia il bello!
Chiuse le macchine di Mario e Giuseppe, decidiamo di molestare la famiglia di Enzo che, dopo averci regolarmente tenuti alla porta per ascoltare le stupidaggini che gli cantavamo, ci fa entrare e, di nuovo, vai col saccheggio! Tutto il ben di Dio possibile era a nostra disposizione e siccome quando si mangia e si beve si combatte con la morte, a nessuno di noi è venuto in mente di scattare una foto a casa (pagnotta).
Era la volta mia, anzi, sarebbe stata la volta mia, visto che ero l’ultimo da (rapinare), e già ci stavamo ponendo il problema di chi dovesse cantare, atteso che il molestato non possa farlo ne possa rispondere ad eventuali maidunate, (è questa una delle tante Leggi non scritte che regolano la Santa Notte), e che nessun altro della nostra squadra ecologica e sparagnina, fosse in grado di cantare una maidunata, non tanto perché non le sapessero concepire, (a ciò si poteva trovare rimedio), quanto perché i miei amici erano parzialmente incapaci d’intendere e di volere…
Erano le quattro meno un quarto e stavamo uscendo dalla casa di Enzo, quando c’imbattiamo nella squadra di Giampiero Rivellini (u pink) ed in due dei loro componenti: Franco Conte, (a crap) e Mario Di Maria, (ciannill), che calorosamente c’invitano ad aggregarci a loro anche senza strumenti, per andare a visitare casa Corvelli sotto il serrone, dove Mario cede la fisarmonica a Franco e quest’ultimo cede la sua fisarmonica a me, per imbastire una cosa che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso.
La squadra di Giampiero, come al solito conteneva ogni genere di umanità, per cui quanto stai vedendo non è altro che la minima parte della realtà che ci si era presentata.
Come detto, eccoci all’opera nello sgranare ogni genere di maidunata, per la felicità dei nostri ospiti, che anche in questo caso, si sono fatti felicemente saccheggiare.
Si cantava e si suonava e Totore continuava a scattare qualche foto per dare un senso a quella Notte.
Quel senso di spensieratezza ed amicizia che ci avviluppava tutti in un abbraccio completo, dimentichi dei problemi di ogni giorno e di qualche incomprensione che ci può comunque stare, visto che prima di ogni cosa siamo tutti uomini. A margine, (ma ci sto pensando solo ora), voglio sperare che qualcuno di coloro che il Buon Totore ha immortalato con noi, non abbia a patire conseguenze da chi lo controlla, proprio per aver ardito di accomunarsi a questa squadra di scomunicati.
Usciamo da casa Corvelli e c’incamminiamo per corso Roma, volendo raggiungere la piazza principale e poi casa mia, ma Davide Frosali, (prozzo), fratello del nostro Marco ma anche componente della squadra della quale ho appena parlato, c’impone di andare a prendere la mia fisarmonica ed unirci definitivamente a loro, perché questi stavano perdendo sia Mario che Franco, esausti dal peso delle loro fisarmoniche ed in procinto di abbandonare la squadra.
Noi accettiamo, nonostante i nostri propositi, perché in questi casi sarebbe davvero scorretto non farlo; così, io e Totore andiamo a casa mia per prendere lo strumento e per lasciare i nostri giubbini, vista la “temperatura”.
Una riflessione, sia pur da ubriaco, non me la sono lasciata scappare, a proposito dell’analogia fra quanto ci vogliono far credere ed il nome della nostra squadra: Se infatti la crisi è partita senza strumenti la sera del trentun dicembre, al mattino del primo gennaio, fatto il giusto lavoro, si è ritrovata con quanto serviva per suonare. Allo stesso modo, posto che si possa parlare realmente di crisi, questa la si può risolvere solo lavorando e facendolo duramente, così, da ritrovarsi con ciò che ci permette di vivere e magari di farlo con dignità.
Va da sé che è questo l’augurio che da quest’inutile sito facciamo a te che ci Leggi per questo nuovo anno che è appena iniziato.
Verso le cinque del mattino, sotto un cielo che minacciava pioggia ma che ci voleva bene, non riversandocene addosso, arriviamo presso casa di Giampiero, dove nel frattempo la squadra si era acquartierata; iniziamo a fare le maidunate e veniamo ricambiati anche qui con ogni ben di Dio; a me, in particolare, viene offerto un bicchiere di Assenzio allo stato puro, cosa che, con la massima educazione, io rifiuto, accettando altro, forse più adatto al mio stomaco.
Dopo di che, usciti davanti casa, riprendiamo a suonare ed io mi trovo a far da base a Giuseppe, persona davvero capace nell’arte della musica;
noi suoniamo, e Totore ne approfitta per ballare, finché Giuseppe non stoppa la tarantella, lasciando il nostro improvvisato ballerino nella più profonda delusione.
Era ormai quasi giorno, visto che l’orologio di chi ancora riusciva a vederlo segnava le sei meno un quarto, quando, fatto un giro fra i camper che ovviamente non ci hanno aperto, sicuramente per stanchezza sopraggiunta, a Giampiero e Donatello Romano, (bertolin), viene un’idea che resterà nella storia: Andare a casa di almeno uno dei fratelli cafter, che non hanno ricevuto nessuno al bar e che lo avevano chiuso. Ci andiamo e nonostante la strana forma di disciplina da azione cattolica che aveva pervaso sia Giampiero che Donatello, (in altre occasioni, veri diavoli da gara), nonostante le maidunate che gli stessimo facendo, Salvatore Leonardi non ci apre. Di questo però torneremo a riparlare, visto il lieto fine.
Stessa sorte ci tocca circa un’ora dopo davanti casa di Pasquale Di Mauro, (il macellaio), che pure avrebbe potuto difendersi abilmente. E’ proprio vero: Una volta che ti fai la nomea, è duro scrollartela di dosso.
A questo punto, visto l’andazzo, decidiamo di comune accordo di finirla lì, anche perché la vera tradizione della Santa Notte era stata rispettata, essendo arrivati al sorgere del sole, un sole che era coperto da nuvole che minacciavano pioggia ma che fino a quel momento ci avevano voluto bene. Alle sette, salutati i nostri amici, io e Totore decidiamo di far ritorno alle nostre case, cessando di suonare, per rivederci alle dieci e rinominare le foto che ti ho mostrate finora, mentre sentivamo il risveglio di chi, in seguito, come ogni anno che Dio ci dona, si fa passare per aver suonato per l’intera notte, sapendo bene che tutti hanno chiaro che questo è vero in minima parte.
Come detto, ci ritroviamo alle dieci e, dopo aver sistemate le foto, io e Totore decidiamo di uscire per scambiarci gli auguri con coloro che per le più disparate ragioni non avevamo potuto incontrare prima. Il tempo questa volta, più che minacciare, iniziava a bagnarci, ma noi, imperterriti, incontravamo chiunque, compresi i componenti della “C Stem Pur Nuje” che mi manifestavano il loro disappunto per il non aver potuto suonare insieme a noi; tanto da tirarmi fuori l’unica risposta che poteva venir espressa in quel frangente: “La colpa non è mia ma di surchiett”. Quest’ultimo, distante qualche metro da noi, al mio dire si è girato di scatto, senza però dire altro.
Il tempo pioveva in maniera sempre più battente e noi ci stavamo riparando sotto il balcone immediatamente a ridosso della casa del camperista, quando mi torna in mente l’assenza totale del Sindaco e, visto che le altre volte mi cercava lui, decido di chiamarlo, almeno per scambiarci gli auguri di buon anno. Scopro così che Il Nostro, quest’anno, forse in vista della fine del suo mandato, aveva evitato proprio di restare a Gambatesa; scelta personale ed indiscutibile, scelta che però dà da pensare.
Il pomeriggio di ieri prevedeva il solito spettacolo di esibizione delle squadre sul palco, cosa collegata alla tradizione della notte di capodanno, ma, grazie a Dio, per stessa ammissione degli organizzatori di questa ulteriore festa, “Viva da solo mezzo secolo” quindi, non parte effettiva di quella tradizione che io rispetto fino a questo punto, qui il comunicato dell’associazione Culturale “I Maitunat”). Se mi leggi assiduamente, sai che non perdo l’occasione per dire che per me, arrivati al sorgere del sole del primo gennaio, o al più a mezzogiorno di quel primo giorno dell’anno, la Tradizione può considerarsi rispettata, quindi, ogni altra cosa fatta è soverchiante. Per questo, tornato a casa per il pranzo, e considerato che la squadra nostra non sarebbe mai salita su quel palco, ho pensato bene di recuperare qualche ora di sonno, anche per alleviare il dolore di schiena che avevo ben studiato come non patire, progetto fallito miseramente dopo la richiesta di Prozzo di andare a prendere la fisarmonica.
Tutto bene?
Magari!
Avevo deciso di riposare fino alle cinque e mezza pomeridiane, per poi uscire alle sei, quando, verso le quattro e mezza ricevo un sms da Marco che mi chiedeva lumi su come poter avere un collegamento stabile con la webcam posta in piazza e poter assistere a quanto stava accadendo sul palco, facendolo da Roma, dove il Nostro è costretto per ragioni di lavoro. Io ho saputo solo proporre di cambiare sito e verificare se l’altro canale fosse più praticabile, ma con il sonno che mi ritrovavo, ho dimenticata la vera ragione di tal ingorgo: L’organizzazione dello spettacolo pomeridiano del primo gennaio di Gambatesa, dopo le sperimentazioni degli anni precedenti, non vuole ancora comprendere che non si frigge con l’acqua, ma che per compiere questa operazione, bisogna aver in casa olio, possibilmente genuino e di conseguenza costoso. Con ciò, voglio dire che se il loro modo di divulgare il loro spettacolo porti numeri astronomici al contatore visite, in realtà è deleterio per la pazienza di chi è costretto a riconnettersi ogni minuto, oltreché per la loro reputazione, minata dal fatto che non è possibile, se non spendendo un po’ di danaro e gestendo seriamente la cosa, pensare di trasmettere e divulgare in maniera seria la nostra, e dico nostra Tradizione.
A quando L’affitto di banda per almeno un centinaio di connessioni effettive, evitando che dopo dieci persone collegate, l’undicesima che ci provi faccia cadere le dieci connessioni precedenti?
A quando lo stanziamento di fondi, magari chiesti agli enti preposti), per divulgare questa forma di cultura che risponde al nome di Tradizione, magari costruendo un apposito server, da riutilizzare anche durante il resto dell’anno, per mostrare di cosa sono capaci i gambatesani, al di là delle loro stupide forme di rivalità, utili a pochi, deleterie per il resto della cittadinanza?
A quando la possibilità di creare in questo modo qualche posto di lavoro, utilizzando magari tecnici di Gambatesa, (e ne abbiamo di capaci), invece di dar da mangiare sempre e comunque a gente proveniente da altri lidi?
Bene a scritto Donato D’Antonio, (a ciavl), nella poesia che ha recitato ieri, (forse un po’ troppo a cantilena), a proposito delle due bande musicali che vivono in paese:
A quando il giusto connubio che rivedrebbe una vera e grossa banda musicale, magari scevra di persone che vengono da altri paesi e spesso ricevono un salario di gran lunga superiore a quello percepito dagli omologhi musicanti locali?
Potrei continuare per un pezzo, ma sinceramente credo che la tua intelligenza sia stata già tediata abbastanza, per cui, superati i fatti che si sono succeduti su quel palco ieri fino alle nove di sera, fatti che comunque hanno vista la presenza di molta gente proveniente dai paesi limitrofi, fatti che hanno premiato il lavoro dell’Associazione Culturale “I Maitunat”, che comunque ringraziamo di cuore, passiamo al clou, per quanto riguarda la squadra nostra, quel clou che nessuno di noi si aspettava ma che ci ha fatto davvero piacere poter registrare.
Finita la festa, io e Totore abbiamo fatto ritorno a casa per mettere qualcosa sotto i denti e tornare fuori per un’ultima uscita. Siamo quindi tornati nel bar dei fratelli cafter, e visto che c’era poca gente, io ho iniziato a prendere bonariamente in giro il barista che la mattina non ci aveva accolti. Il Nostro, probabilmente toccato, se ne è uscito con quanto noi non ci aspettavamo: “Beh, visto che non vi ho aperto e che la squadra vostra sta qui, prendete quello che volete che offro io!”. Noi non sapevamo se eravamo ubriachi fino al punto di sognare o se l’ubriaco fosse Salvatore, fatto sta che visto che eravamo pieni da far schifo, abbiamo accettato che ci offrisse un paio di birre Forst, bottino insperato, bottino gradito.
In definitiva, anche quest’anno ne siamo usciti vivi, anche se fra polemiche e voci di corridoio; una di queste, tutta da verificare, vorrebbe che qualcuno abbia detto che non è il caso di portare bambini sul palco, quando si esibiscono squadre di adulti. Sperando che ciò sia solo il delirio di qualche avvinazzato di turno, mi chiedo: Ma se i bambini non li invogliano proprio i genitori, portandoli al proprio seguito, chi sarà l’attore della tradizione di domani?
Detto questo, e cercando di pensare sempre in positivo, chiudo questa farneticazione per accingermi a riordinare le idee e prepararmi ad un altro anno di maidunate, spesso imposte, nella speranza di poter contribuire a sgretolare forme di preparata e voluta ipocrisia, necessaria per pochi che con questa campano, soffocante per tutto il resto di noi, pazienti e spesso accondiscendenti piagnoni ed eterni insoddisfatti.
C’ncion!