Tre Brevi Storie D’Amore Al Teatro Alfieri Di Fossalto
23 Aprile 2025
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RIABILITAZIONE: A Venticinque Anni Dal Mio Secondo Tentato Omicidio

Di Vittorio Venditti

2a Parte: Condanna A Molti Per Colpa Di Pochi

DELINQUERE: verbo intransitivo
1. Infrangere le norme stabilite dalla legge penale.
2. LETT.•GENERIC.
Macchiarsi di una o più colpe.

Giustizia

Il preambolo (con un’aggiunta sensazionale) farà da incipit in tutte le puntate di questa saga che chiude un progetto nato il primo settembre duemilaquattro per scandagliare quel fondo di vergogna che persiste nelle già definite bische che gestiscono schifosamente quel giro d’affari che in tanti s’ostinano a definire ‘giustizia’, mondiali, italiane, ma soprattutto campobassane perché se è vero che tralasciando le vicissitudini storiche che hanno contraddistinta la materia in ogni parte del mondo e nel tempo vissuto dall’umanità, il terzo fatto che mi ha costretto a generare il progetto del quale sto traendo i frutti è un punto cardine della storia che mi è servita, mi serve e soprattutto mi servirà per farmi giustizia, atteso che attendersela da quella feccia che si ritiene da sempre ed in ogni luogo terreno, la depositaria di tal strumento di ristoro per i componenti la ‘razza umana’, sia un sogno, in molti casi un vero incubo dal quale rifuggire.

Era il ventiquattro aprile dell’anno duemila. Gambatesa da qualche giorno godeva di un periodo di tempo davvero soleggiato, segno che la primavera stava fiorendo al meglio, Nel borgo governava la stessa fazione che oggi si ritiene al potere, ma gli abitanti residenti (non solo per il periodo di festa del momento) erano in cifra di gran lunga superiore. Quella mattina, alla faccia della considerazione nella quale veniva tenuto anche chi già lo scorso quindici ottobre millenovecentottantaquattro aveva subito il primo tentato omicidio, (secondo punto importante per la generazione del progetto che sto raccontando) il sole la faceva da padrone, ma io mi svegliavo per ‘merito’ di ciò che sembrava la caduta di un fulmine con relativo forte tuono e scroscio di pioggia. Di Primo acchito pensavo a questo, ma subito dopo, riflettendo meglio, mi accorgevo di trovarmi di fronte a ben altro, atteso che si sentissero le grida dei condomini del palazzo (non per colpa di un tuono, ma di un’esplosione, non col seguito della caduta d’acqua o grandine, ma per effetto della distruzione dei vetri delle finestre e quelle della prigione ove mi trovavo non sono scoppiate perché le ho sostituite quasi abusivamente con contro-infissi quasi blindati, comunque lesionati, ma che mi hanno salvato dagli sfregi) stabile costruito ex novo nei primi anni ottanta del secolo scorso, nel quale ero stato recluso da circa quattordici anni in attesa che mi venisse restituita l’abitazione sita nel centro storico del paese per la quale mi ero affidato alla criminalità organizzata che per Legge avrebbe dovuto ristorarmi dei danni patiti dall’incendio di quella casa, cosa avvenuta in minima parte e dopo che c’è mancato poco che avrei dovuto (con la mia famiglia) chiedere scusa per il disturbo arrecato ad una congrega di delinquenti che per farmi capire che avrei dovuto star zitto e magari non disporre di quella radio ricetrasmittente (allora definito baracchino) che è servita per evitare di tenere il ‘povero cieco seduto a pararsi le mosche, ma anzi a denunciare che quasi sempre ‘non serve vedere per vedere’, mi avevano inviata pro manibus tramite i carabinieri questa sibillina lettera, firmata da due soggetti che da quei delinquenti che sono (o sono stati se ci si riferisce ad uno di loro che ha avuta la cortesia di diventare autonomamente nel tempo non imputabile) hanno dichiarato apertamente che io avrei potuto anche morire perché il fatto che quanto denunciato da sei anni a dietro, siccome non aveva portato a problemi, permetteva loro di fregarsene del dichiarato allarme. Oggi, a distanza di venticinque anni dai fatti che sto riassumendo, mi sento in dovere d’affermare che se mi fossi rivolto all’altra fazione, detta Criminalità, ma sicuramente molto meglio organizzata allo scopo, sicuramente avrei ottenuta quella giustizia che manca da troppo tempo, magari con l’aggiunta della possibilità di godere degli spasmi derivati dalle sofferenze inflitte a quei nullafacenti che si permettono anche di indossare la pezza nera che dovrebbe far paura agli altri, ma che si spera serva, a lungo andare, a far patire a quest’immondizia la medesima sorte che si racconta sia stata sentenziata ed eseguita su Erode come peso dei propri peccati.

La risposta rimessa in ogni senso sopra e che vi prego di cliccare e leggere, mi ha mandato letteralmente ai pazzi, tanto che sapendo che sarei potuto finire sotto le macerie da un momento all’altro per merito del totale abbandono descritto nella missiva che ha costernato persino chi me l’ha dovuta consegnare, pur di non vivere in completa coscienza tal destino, mi sottoponevo alle cure del dottor Antonio Pallotto, uno psichiatra (davvero brava e comprensiva persona) che lavorava presso l’ospedale Cardarelli di Campobasso. Mi venivano somministrate delle pillole che dal settembre del millenovecentonovantanove e fino al giorno del quale sto rendendo conto, mi hanno permesso di vivere come se stessi sognando perché vedevo tutto normalmente, ma quasi dormendo e comunque con la mente guidata dalla consapevolezza che nulla avrebbe potuto farmi più male di quanto già in essere. Va da sé che la situazione si sia risolta dopo i fatti oggi richiamati e nell’ultima seduta presso il dottor Pallotto, non mi vergogno a dirlo, mi abbandonavo ad un pianto liberatorio, compreso anche da chi aveva avuta l’incombenza d’occuparsi delle mie vicissitudini.

Tornando dunque al ventiquattro aprile duemila e comunque dopo lo scoppio. In casa c’era con me mia sorella perché mio fratello aveva ripreso servizio in Lombardia ed i miei genitori erano andati presto in campagna, atteso che la pasquetta non tutti la vivano andando a gozzovigliare fuori porta. Saltato il letto e verificato che i telefoni non funzionassero più, provavo ad accendere la radio ricetrasmittente con la quale avrei voluto chiamare i carabinieri, (la stazione permetteva quei collegamenti allora solo analogici, ora anche digitali ed io ero e sono a conoscenza delle frequenze e dei codici d’accesso per tali comunicazioni, (informazioni rigorosamente imparate a memoria e mai scritte perché voglio bene alle forze dell’Ordine, essendo queste in campo, mal pagate, ma mettendoci la faccia a differenza di certo lerciume che ruba il pane a noi tutti e la giornata a Cristo senz’alcuna vergogna), non ancora rendendomi conto del fatto che questi avessero vista la tragedia in diretta, posto che la caserma di Gambatesa stesse a pochi metri da noi. La radio non funzionava più per mancanza di corrente e di conseguenza, considerato il mio vivere ‘soporifero’, non mi veniva in mente altro che cercar di scappare da quanto si sarebbe potuto verificare, magari saltando la balconata: meglio qualche osso rotto cadendo dal secondo piano che crepare sotto il peso del materiale di costruzione di quel palazzo, (non sono Erode ne uno dei biscazzieri responsabili di quanto avvenuto), almeno per una questione d’orgoglio. La situazione veniva arginata dal fatto che un altro inquilino, nel vedermi, mi chiamava per avere anche lui consiglio sul da farsi, per cui, constatato che il peggio era passato, avevo modo di riordinare le idee e trarne le conseguenze che almeno mi lasciavano integro nel fisico.

Da ogni parte arrivavano soccorsi e curiosi, Anche l’allora Sindaco, giunto sul posto, dava istruzioni per tentare un sia pur minimo sollievo alla sessantina di abitanti (a breve si sarebbe scoperto che uno di questi era morto e non sto qui a parlare delle conseguenze a dir poco scandalose che sono derivate da quella dipartita) coinvolti in quanto si sapeva che sarebbe successo, ma a me ormai di questi discorsi pseudo-politici non interessava più nulla, dato che avevo comunque deciso di tenere a distanza uno stato che ormai era solo un participio passato di ciò che diceva d’essere e chiaramente non era più.

Nel brutto, una bella parentesi veniva aperta dall’oggi famoso Domenico Iannacone che spesso si fa vedere su RAI TRE nazionale con interessanti programmi, arrivato a seguito della diffusione della ‘notizia’, come giornalista di Teleregione. Domenico, col garbo che già allora lo contraddistingueva, mi intervistava per capire… sotto la mia antenna radio ormai silente.

Quel giorno, in considerazione dell’aver tirate le conclusioni su come disprezzare quella politica e magistratura, poteri che da sedici anni (ma con anche altri precedenti) mi stavano facendo del male, decidevamo con la famiglia d’arrangiarci persino nel procurarci il cibo al momento, non volendo in alcun modo sottostare a chi dopo aver tentato di ucciderci, forse avrebbe potuto provare a rimediare allo sbaglio per concludere al meglio. Quel lunedì (detto ‘dell’Angelo’) anche la RAI del Molise, basandosi su informazioni aggiustate alla bisogna, decideva di dar la colpa al fato, tanto che nei giorni successivi e considerato che chi si stava ancora occupando del caso persisteva nel proprio dire, io mi premuravo d’avvertire che se non si fosse smesso d’affermare quanto veniva costantemente trasmesso, avrei presi provvedimenti fisici esiziali contro chi s’accaniva nel ripetere tali falsità, cosa che almeno cessava tali divulgazioni, nate e necessarie per attuare il proverbio che sostanzialmente afferma che cani e cani s’annusano e che di conseguenza non sarebbe stato plausibile ammettere leggerezze e negligenze perpetrate dai cosiddetti poteri forti su cittadini che (nel nostro caso) avevano la sola colpa d’essere stati costretti a trovarsi in quel luogo per la lentezza del ‘lavoro’ di una parte di quella criminalità che con quell’agire s’è dimostrata tutt’altro che organizzata.

La situazione diventava ancora più vergognosa, quando ad esplosione avvenuta ed a salvataggio (in autonomia) portato a termine, veniva applicata la più odiosa forma di burocrazia che lo scarto dell’umanità possa perpetrare ai propri simili, anzi a chi viene ritenuto suddito che disturba il periodo di riposo di criminali che stavano digerendo a base di rutti e peti il pranzo pasquale o si stavano crogiolando sotto il sole in ‘meritate’ vacanze. Tal burocrazia, in presenza di un morto e della distruzione di metà del palazzo IACP di via prima traversa Aldo Moro 3 a Gambatesa, dopo il menefreghismo autografato da nicola d’angelo (volutamente e con disprezzo scritto in minuscolo) ed il suo compare che poi è crepato e che non viene richiamato perché ormai non più imputabile, veniva ricoperto da ciò che mi avrebbe costretto a presidiare quanto di mio in quell’appartamento per una settimana perché bisognava ‘esperire le indagini affidate a tal Maria Rita caracuzzo’ che però quel giorno non era di servizio. Come dire: i cazzi vostri sono vostri e non dello stato (sempre in rigoroso minuscolo) che avete chiamato in causa, non poteva agire perché non era successo niente fino a quel momento ed ora che la situazione è degenerata, bisognava che aspettaste perché le vacanze sono sacre e chi sta bene ha il diritto di fruirne anche per la vicinanza alla ‘liberazione’ (che però e per un minimo di vera Giustizia, in quel caso è andata di traverso a quegli ipocriti pure se non li ha soffocati), alla faccia vostra che avete rischiato di morire ed a lungo termine avreste fatto meglio a farlo, visto che il risultato è quello di rompere i coglioni con rivendicazioni che avreste dovuto dimenticare, passandole alla storia, magari con una bella e definitiva fiaccolata. Da quel momento e per l’intera settimana successiva, noi ed il palazzo esploso diventavamo zimbello di politici d’ogni estrazione e livello (venne a visitarci persino l’allora presidente della giunta regionale del Molise Giovanni Di Stasi, dirigente dell’ente sotto il quale prosperava e campa ancora oggi chi è proprietario della struttura saltata in aria, politico apicale cui veniva detto indicandomi: “Nel palazzo c’era anche lui che è cieco” e quel giorno ci avrei visto bene nel colpirlo, ma la mia buona educazione ha avuto il sopravvento) e comunque di chi veniva a sincerarsi della situazione, forma di turismo che si spera abbia almeno portato un po’ di danaro nelle casse degli esercizi commerciali gambatesani perché in questo modo, almeno l’improvvisato circo sarebbe servito a dar da mangiare agli ‘affamati’.

Quel giorno non sono morto ed oggi, dopo venticinque anni da quel ponte tra Pasqua e liberazione che (ironia della sorte) otto anni dopo ha obbligato lo stesso soggetto, vergognosamente menefreghista del periodo, ad arrestare il principale responsabile di quello scoppio, ma per altre ragioni che evidentemente hanno lesa la ‘maestà’ del verme manettaro a convenienza, oggi, come faccio ogni tre mesi per chiedere Chi Ha Ucciso Carlo Concettini ben conoscendo il nome di chi è colpevole, ma non riceve la meritata e giusta condanna, (altro discorso che si vorrebbe mettere a tacere perché include politica e magistratura locale che non vanno disturbati, oggi io ricordo l’accaduto, non esimendomi però dal coinvolgere anche quell’altro ramo di bastardi che è composto dalla politica locale tout court e gambatesana giustappunto, rappresentata degnamente da un ‘amico’ che vistosi scoperto per aver perpetrata nei miei confronti un’ulteriore truffa, nel duemilaventidue e prima dello smascheramento, tentando di sviare il discorso, ha detto: “Io sono stato alle case popolari… “, provando a ricordare una bugia della quale aveva dimenticati gli estremi perché le bugie per l’appunto, quando dette, vanno poi ricordate e quel giuda aveva dimenticata questa parte importante del sunto. Cos’era successo ancora?

Nel millenovecentonovantaquattro, accortomi del fatto che il palazzo nel quale la giustizia italiana mi aveva relegato con la mia famiglia (in attesa della fine del processo che dieci anni prima e per ancora tre anni ha tenuto sub iudice e che iudice la casa paterna incendiata) constatato chiaramente che per mancanza di manutenzione ed altre leggerezze delle quali si tiene conto solo a disgrazia avvenuta, quello stabile avrebbe patito quanto poi accaduto venticinque anni fa, iniziavo a segnalare il problema per iscritto al proprietario della struttura, quell’istituto autonomo case popolari di Campobasso (sempre e giustamente in minuscolo) che se ne fregava sistematicamente di quello che veniva riferito. A quel punto decidevo d’assoldare un amico che ritenevo del ramo, il quale per ben sei anni mi consigliava innanzitutto di non pagare più l’affitto e poi, pur di tenermi in pugno, periodicamente veniva a fare qualche foto che a suo dire serviva per obbligare chi dirigeva quell’ente subregionale a risolvere i problemi denunciati. A fine novembre del millenovecentonovantasette, il truffatore in questione, ritenendosi in dovere, mi chiedeva due milioni di lire per attuare una perizia stragiudiziale che a suo dire avrebbe risolto ogni problema e per ottenere prima possibile quel danaro (usato sicuramente per risolvere suoi, non miei problemi), arrivava al punto d’accompagnarmi personalmente presso lo sportello dell’allora banca popolare del Molise a ritirare lo stipendio, da me interamente girato a lui per la causa.

Senza tirarla per le lunghe, a metà duemilatredici, ben dopo l’epilogo dell’esplosione del duemila, arrivava alla mia famiglia la richiesta del pagamento della somma degli affitti dovuti e non versati finché e dopo lo scoppio, avevamo deciso di rescindere il contratto che ci legava a quell’inutilità che ancora oggi gestisce quelle case, talmente dignitose che in parte non sono abitate, sospesi poi regolarmente pagati a seguito della costatazione del nulla di fatto derivato dal ‘lavoro’ di chi, giuda, ora si guarda bene dall’avvicinarsi a me, ma non solo per quanto raccontato, atteso che lo stesso soggetto stia rosicando per non essere stato in grado di derubarmi d’altri beni, mirati ed adeguatamente tenuti da conto in fase di sviluppo degli stessi, rete da me tesa e chiusa al momento opportuno perché sarà vero che la politica sia nata per derubare chi lavora, ma che ciò vada assecondato da chi riceve queste attenzioni, non sempre portabili a buon fine. Per la serie: tra il truffatore ed il truffato è quest’ultimo a tenere banco.

Alla prossima puntata che parlerà di come si ‘lavora’ nella bisca campobassana. Nel frattempo:
Ricordatevi Che E’ Cristo Che E’ Risorto, Giuda S’E’ Impiccato!